Certi provvedimenti per risolvere le “cose italiane”, e non solo, mi hanno ricordato il testo di The Trees della band canadese Rush, presente nell’album Hemispheres del 1979.
Un certo malcontento serpeggia nella foresta, gli aceri si lamentano perché le alte querce “rubano” loro tutto il sole.
Da parte loro le querce hanno difficoltà a capire perché gli aceri non possano esser lieti nella loro ombra.
La situazione diviene presto insostenibile, le creature del bosco lo abbandonano, ed alfine giustizia è fatta attraverso… tagli, tagli e tagli
La musica potrebbe risultarvi ostica: i Rush non sono amati da tutti, ma… confido possiate cambiar idea.
There is unrest in the forest There is trouble with the trees For the maples want more sunlight And the oaks ignore their pleas
The trouble with the maples (And they’re quite convinced they’re right) They say the oaks are just too lofty And they grab up all the light But the oaks can’t help their feelings If they like the way they’re made And they wonder why the maples Can’t be happy in their shade
There is trouble in the forest And the creatures all have fled As the maples scream ‘Oppression!’ And the oaks just shake their heads
So the maples formed a union And demanded equal rights ‘The oaks are just too greedy We will make them give us light’ Now there’s no more oak oppression For they passed a noble law And the trees are all kept equal By hatchet, axe and saw
Post sottosopra ed ondivago che segue la cronologia del sentire e dell’esperienza anziché quella temporale.
Ostaia da-U Neo, Genova 14 Gennaio 2016
La morte (Jacques Brel*)
La morte mi attende come una vecchia fanciulla
All’appuntamento con la falce
Per meglio mietere il tempo che passa
La morte mi attende come una principessa
Al funerale della mia gioventù
Per meglio piangere il tempo che passa
La morte mi attende come una fata cattiva
Al rogo delle nostre nozze
Per meglio ridere del tempo che passa
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
È già lì che mi aspetta
Angelo o demone non importa
Davanti alla porta ci sei tu
La morte attende sotto il cuscino
Che dimentichi di svegliarmi
Per meglio congelare il tempo che passa
La morte attende che i miei amici
Vengano a trovarmi di notte
Per meglio raccontarci che il tempo passa
La morte mi attende tra le tue mani diafane
Che dovranno chiudermi le palpebre
Per meglio dire addio al tempo che passa
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
È già lì che mi aspetta
Angelo o demone non importa
Davanti alla porta ci sei tu
La morte mi attende alle ultime foglie
Dell’albero che sarà la mia bara
Per meglio inchiodare il tempo che passa
La morte mi attende tra i lillà
Che un becchino tirerà su di me
Per meglio far sbocciare il tempo che passa
La morte mi attende in un grande letto
Teso con le tele dell’oblio
Per meglio fermare il tempo che passa
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
È già lì che mi aspetta
Angelo o demone non importa
Davanti alla porta ci sei tu
Parigi, 1959
La Mort (Jacques Brel)
La mort m’attend comme une vieille fille
Au rendez-vous de la faucille
Pour mieux cueillir le temps qui passe
La mort m’attend comme une princesse
A l’enterrement de ma jeunesse
Pour mieux pleurer le temps qui passe
La mort m’attend comme Carabosse
A l’incendie de nos noces
Pour mieux rire du temps qui passe
Mais qu’y a-t-il derrière la porte
Et qui m’attend déjà
Ange ou démon qu’importe
Au devant de la porte il y a toi
La mort attend sous l’oreiller
Que j’oublie de me réveiller
Pour mieux glacer le temps qui passe
La mort attend que mes amis
Me viennent voir en pleine nuit
Pour mieux se dire que le temps passe
La mort m’attend dans tes mains claires
Qui devront fermer mes paupières
Pour mieux quitter le temps qui passe
Mais qu’y a-t-il derrière la porte
Et qui m’attend déjà
Ange ou démon qu’importe
Au devant de la porte il y a toi
La mort m’attend aux dernières feuilles
De l’arbre qui fera mon cercueil
Pour mieux clouer le temps qui passe
La mort m’attend dans les lilas
Qu’un fossoyeur lancera sur moi
Pour mieux fleurir le temps qui passe
La mort m’attend dans un grand lit
Tendu aux toiles de l’oubli
Pour mieux fermer le temps qui passe
Mais qu’y a-t-il derrière la porte
Et qui m’attend déjà
Ange ou démon qu’importe
Au devant de la porte il y a toi
Hammersmith Odeon, Londra, 3 Settembre 1973
My Death (Jacques Brel / Mort Schuman)
My death waits
like an old rouè
So confident I’ll go his way
Whistle to him and the passing time
My death waits
like a bible truth
At the funeral of my youth
Weep loud for that
and the passing time
My death waits
like a witch at night
As surely as our love is bright
Let’s not think about the passing time
But what ever lies behind the door
There is nothing much to do
Angel or devil, I don’t care
For in front of that door, there is you
My death waits
like a beggar blind
Who sees the world
through an unlit mind
Throw him a dime
for the passing time
My death waits there
between your thighs
Your cool fingers
will close my eyes
Let’s not think of that
and the passing time
My death waits
to allow my friends
A few good times before it ends
So let’s drink to that
and the passing time
But what ever lies behind the door
There is nothing much to do
Angel or devil, I don’t care
For in front of that door, there is you
My death waits there among the leaves
In magicians’ mysterious sleeves
Rabbits and dogs and the passing time
My death waits there among the flowers
Where the blackest shadow,
blackest shadow cowers
Let’s pick lilacs for the passing time
My death waits there
in a double bed
Sails of oblivion at my head
So pull up the sheets
against the passing time
But what ever lies behind the door
There is nothing much to do
Angel or devil, I don’t care
For in front of that door, there is you
La traduzione del cantautore americano Mort Shuman, resa famosa da David Bowie presenta rispetto all’originale in francese alcune differenze significative che potete apprezzare nel confronto tra le traduzioni italiane delle due versioni:
La Mia Morte (Jacques Brel / Mort Schuman)
La mia morte aspetta
come un vecchio dissoluto
Così sicuro che gli andrò incontro
Fischia a lui e al passare del tempo
La mia morte aspetta
come una verità biblica
Al funerale della mia giovinezza
Piange forte per questo
e per il passare del tempo
La mia morte aspetta
come una strega nella notte
Certo com’è brillante il nostro amore
Non pensiamo al passare del tempo
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
Non c’è molto da fare
Angelo o diavolo, non m’importa
Perché di fronte a quella porta ci sei tu
La mia morte aspetta
come un mendicante cieco
Che vede il mondo
attraverso una mente spenta
Tiragli una moneta
per il passare del tempo
La mia morte aspetta lì,
in mezzo alle tue cosce
Le tue dita fredde
chiuderanno i miei occhi
Non pensiamo a questo
e al tempo che passa
La mia morte aspetta
per consentire ai miei amici
Di divertirsi un po’ prima della fine
Così brindiamo a questo
e al passare del tempo
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
Non c’è molto da fare
Angelo o diavolo, non m’importa
Perché di fronte a quella porta ci sei tu
La mia morte aspetta lì fra le foglie
Fra le maniche misteriose dei maghi
Conigli e cani e il passare del tempo
La mia morte aspetta lì fra i fiori
Dove l’ombra più nera,
l’ombra più nera si ritrae
Raccogliamo i lillà per il passare del tempo
La mia morte aspetta là
in un letto matrimoniale
Con vele d’oblio nella mia testa
Così tiriamo su le lenzuola
contro il passare del tempo
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
Non c’è molto da fare
Angelo o diavolo, non m’importa
Perché di fronte a quella porta ci sei tu
La versione soprastante, presente nell’ultimo concerto di Ziggy Stardust and the Spiders of Mars, fu pubblicata solo dieci anni dopo, nel 1983, in Ziggy Stardust – The Motion Picture, colonna sonora di quei concerti.
Come spesso nella sua carriera, Bowie ha fornito diverse reinterpretazioni delle sue proposte.
Fra esse vi propongo questa registrazione del 1995.
*La traduzione italiana di La Mort di Brel mi è stata regalata al volo da Letizia Merello, poiché non ne esistevano di accettabili, in occasione del Reading Eros e Thanatos. Io vi ho poi apportato minime modifiche.
Post musical letterario del mercoledì a cavallo di 6 secoli.
Ci sono tanti modi di raccontare una storia quanti, e forse più, ce ne sono di affrontare la realtà.
Quando poi la storia è affidata alla tradizione orale ed ai cantastorie può succedere qualsiasi cosa. Così di The Unquiet Grave, ballata inglese che sembra risalire al 1400, esistono quasi una ventina di versioni testuali non sempre associate alla stessa melodia. Il già altrove citato Francis J. Child nel 1868 la cataloga al nr. 78 delle Child Ballads, mostrandone dieci varianti.
Il tema, notissimo nelle ballate popolari, è quello dell’inconsolabile dolore di un giovane per la morte dell’amata. Le varie versioni presentano differenze testuali, melodiche ed anche concettuali.
La prima che vi propongo è un arrangiamento del 1973 dei Gryphon, nell’omonimo disco di esordio. Si tratta di una variante suggestiva della 78E che utilizza la musica di un’altra ballata del 1600: Dives and Lazarus (Child 56).
Cold blows the wind to my true love and gently falls the rain. I only had but one true love, and in green woods she lies slain. I’ll do as much for my true love as any young man may – I’ll sit and mourn along the grave for a twelve-month and a day.
When the twelve-month and a day was done, the ghost began to speak: “Why sittest thou along my grave and will not let me sleep?” There’s one thing that I want, sweetheart, there’s one thing that I crave, And that is a kiss from your lily-white lips. Then I’ll go from your grave.
“My lips they are as cold as clay, my breath smells earthy strong, And if you kiss my lily-white lips, your days they won’t be long. Go fetch me water from the desert, and blood from out of stone; Go fetch me milk from a fair maid’s breast that never a young man has known.”
‘Twas down in Cupid’s Garden, where you and I would walk, The fairest flower that ever I saw is withered to a stalk. The stalk is withered and dry sweetheart, the flower will ne’er return, And since I lost my one true love, what can I do but mourn?
When shall we meet again, sweetheart? When shall we meet again? “Ere the oaken leaves that fall from the tree are green and spring up again.”
Più lineare la versione catalogata 78A, in cui la defunta consiglia all’amato di lasciarla e di vivere la propria esistenza. A dar voce a questa variante, con melodia celtica, Luke Kelly dei Dubliners,pubblicata nel 1975, nell’album Now.
‘The wind doth blow today, my love, And a few small drops of rain; I never had but one true-love, In cold grave she was lain.
‘I’ll do as much for my true-love As any young man may; I’ll sit and mourn all at her grave For a twelvemonth and a day.’
The twelvemonth and a day being up, The dead began to speak: ‘Oh who sits weeping on my grave, And will not let me sleep?’
‘Tis I, my love, sits on your grave, And will not let you sleep; For I crave one kiss of your clay-cold lips, And that is all I seek.’
‘You crave one kiss of my clay-cold lips; But my breath smells earthy strong; If you have one kiss of my clay-cold lips, Your time will not be long.
‘Tis down in yonder garden green, Love, where we used to walk, The finest flower that ere was seen Is withered to a stalk.
‘The stalk is withered dry, my love, So will our hearts decay; So make yourself content, my love, Till God calls you away.’
Suggestiva, declinata al femminile, dalla parte del fantasma, la versione proposta da Kate Rusby nel 1999, nell’album Sleepless.
Vagando per youtube ed il web avrete la possibilità di ascoltare proposte note, come quella di Joan Baez, che utilizza la versione testuale 78E (la stessa dei Gryphon), e meno note, come quella del gruppo Darkwave Helium Vola, che dei Gryphon arrangia la melodia. Questa melodia, come si è detto, appartiene a Dives and Lazarus, trasposizione in forma di ballata della parabola Il ricco e Lazzaro.
Giunto a Dives and Lazarus, non posso che proporviFive Variants of ‘Dives and Lazarus’ composte nel 1939 da Ralph Vaughan Williams e dirette da Sir Neville Marriner.
Forse Vaughan Williams non sarà un innovatore, probabilmente apparirà banale, ma….
Non fosse così, vi proporrei il brano odierno senza darvi alcuna indicazione, se non quella del volume: molto alto.
Vi trovereste certo dubbiosi sul periodo, sulla nazione, sull’autore.
Vivreste insomma uno di quei momenti di gioco, curiosità e scoperta che questo mondo iperveloce ci sta portando via, sostituiti da desideri esauditi troppo presto per divenire passioni profonde.
Vi chiedo, comunque, di assecondarmi ed ascoltare senza legger oltre, senza nemmeno guardare le poche indicazioni fornite dal video, meglio ancora senza far null’altro che ascoltare…
Per chi non avesse già sbirciato, si tratta di Le Cahos, primo movimento della sinfonia Les Élémens composta da Jean-Fery Rebel nel 1737, in esecuzione filologica di ChristopherHogwood che dirige The Academy of Ancient Music.
E’ un movimento di grandissima modernità, ben oltre quel che ci s’attende dalla musica barocca. Rebel descrive, con ardite scelte armoniche, il Caos prima dell’attuale ordine costituito, incentrato sull’equilibrio dei quattro elementi: Fuoco, Terra, Aria ed Acqua.
Il tema è vastissimo ed appartiene, in modo trasversale, alle maggiori culture planetarie e non è nemmeno pensabile andar oltre ora. Va certo notato che il tentativo di Rebel è in qualche modo controcorrente, rispetto al mondo alchemico, tendendo qui al magma originario più che alla meta quintessenziale.
Visto il tema, controcorrente ed ermetico, il post letterario collegato è, forzatamente, À Rebours, mio vecchio racconto a chiave, pubblicato nel 1993 su il babau n.10.
Avrei voluto metter qualcosa di festaiolo, che facesse un po’ baccano e che, ovviamente, fosse collegabile con qualche testo letterario.
Mi sono chiesto come potesse suonare oggi Living After Midnight dei Judas Priest, inno delle nostre vacanze in Costa Brava anni ’80. Non mi ha convinto… o meglio, mi ha convinto eccome, ma mi rendo conto che si tratta di un genere e, soprattutto, di un’iconografia detestati dagli amanti della letteratura, tranne rari (e fortunati) casi.
Sono quindi andato oltre cercando un ponte di congiunzione fino a giungere al brano che vi propongo stanotte.
Curiosamente, la scelta non è “edulcorata” per nulla ed è molto meno “digeribile” di Living After Midnight che dalla sua aveva un bel ritmo accattivante. The Sign of the Southern Cross non è nulla di ciò: è un sontuoso pezzo Metal del 1981, tratto da Mob Rules dei Black Sabbath con Ronnie James Dio in grandissimo spolvero.
Se non conoscete il genere, o avete dei pregiudizi, ma ci volete provare, date volume al vostro impianto e lasciatevi andare: The Sign of The Southern Cross potrebbe farvi riconsiderare alcune cose. Nel caso ciò non dovesse accadere, potrò consolarmi pensando d’averci tentato.
Non ci sono brani letterari collegati.
Ma sì… visto che siamo quasi a mezzanotte, e che è partito tutto da lì, un po’ di baccano… Living After Midnight
Nel 1967 il ventiseienne violinista David LaFlamme, già solista della Utah Symphony Orchestra fonda, insieme ad altri musicisti, gli It’s a Beautiful Day.
Il gruppo, pur non notissimo, è unico per la quantità di stili ed influenze. Appartenente all’insieme delle grandi band di San Francisco, Jefferson Airplane, Grateful Dead e Santana, e quindi di chiara matrice west coast psichedelica, gli It’s Beautiful Day accolgono sonorità classiche, rock, jazz, folk e world beat.
Sembra interessante? E se vi dicessi che Child in Time dei Deep Purple, come ammesso da Ian Gillan, nasce dal riff di Bombay Calling (1969)?
La paternità è indiscutibile!
Quanto alla seconda proposta sono stato indeciso a lungo, perché amo indistintamente qualsiasi brano del primo omonimo disco: imperdibili White Bird e Girl With No Eyes!
Alla fine opero una scelta musical letteraria, come si conviene a questo post.
La seconda facciata di It’s a Beautiful Day è composta da una suite comprendente Bombay Calling, la sottostante Bulgaria e la straordinaria Time Is di cui presento il solo testo, nella speranza che la curiosità vi spinga a cercarla.
Ovviamente, la suite andrebbe ascoltata per intero. Avanti…! 🙂
Time is
Time is too slow for those who wait And time is too swift for those who fear Time is too long for those who grieve And time is too short for those that laugh
And love is too slow for those who wait And love is too swift for those who fear Love is too long for those who grieve And love is too short for those that laugh
But for those who love But for those who really love But for those who love Time Sweet time Precious time Lovely time All the time Time, time, time, time… is eternity
Hours fly Hours fly Hours fly But even flowers must die And then a new day comes And there’s a new day’s dawn And there’s a new day’s sun And love stays on Sweet love stays on Love stays on Love stays on Love, love, love, love And time, time, time, time…
Post musical letterario alla ricerca delle origini.
Riavvolgiamo il tempo e portiamoci tra il dicembre 1192 ed il febbraio 1194.
Riccardo I d’Inghilterra, noto come Cuor di Leone, di ritorno dalla terza crociata, vien fatto prigioniero da Leopoldo V, duca d’Austria, accusato dell’omicidio di Corrado del Monferrato, re di Gerusalemme. E’ probabile che le ragioni della sua cattura fossero altre, ma la storia di quest’epoca spesso si mischia alla leggenda e l’analisi delle fonti anziché chiarire i dubbi amplifica il mistero.
Di certo, fino a prossima smentita, sembra esserci il fatto che durante questa prigionia, Riccardo I scrive Ja nuns hons pris ne dira sa raison, uno dei pochissimi esempi di rotrouenge giunti ai giorni nostri. Ja nuns hons pris si discosta dalla tradizione amorosa di questo tipo di poesia lirica medievale di trovatori e trovieri, per il carattere politico del tema trattato: la propria prigionia.
Il testo, straordinario, è riportato nell’originale occitano ed in traduzione italiana, quanto alla musica ne esistono svariate versioni, prevalentemente monodiche, più o meno filologiche: tra esse vorrei tanto proporvi quella del 1970 dell’Early Music Consort di David Munrow, ma non sono riuscito a reperirla in un formato allegabile.
Non potendo proporvi Munrow, sottopongo alla vostra attenzione due incisioni molto distanti tra loro: la prima del musicista americano Owain Phyfe e la seconda del gruppo musicale francese Alla Francesca.
Per chi ha il coraggio di compiere un salto a pie’ pari di oltre 821 anni consiglio di passare direttamente alla seconda.
Per i “deboli di cuore”, invece, consiglio l’avvicinamento convincente, seppur edulcorato e ridotto alle prime due strofe, di Owain Phyfe, presente nell’album del 1999 Poets, Bards & Singers of Songs.
Probabilmente più prossimo al suono del tempo di Riccardo Cuor di Leone, questo il brano registrato dal gruppo francese Alla Francesca per l’album Richard Coeur de Lion, Troubadours et trouvères del 1997.
Ja nuns hons pris ne dira sa raison A droitement, se dolantement non: Mais par esfort puet il faire chançon. Mout ai amis, mais povre sunt li don. Honte i avront, se por ma reançon Sui ça deus yvers pris.
Mai nessun prigioniero potrà esprimere bene quel che sente senza lamentarsi: ma sforzandosi puo’ comporre una canzone. Ho molti amici, ma poveri sono i loro doni. Saranno biasimati, se per non darmi riscatto, son già due inverni che sono qui prigioniero.
Ce sevent bien mi home e mi baron, Ynglois, Normanz, Poitevin et Gascon Que je n’ai nul si povre compaignon Que je lessaisse, por avoir, en prison. Je nou di mie por nule rentrançon, Car encor sui pris.
Ma i miei uomini e i miei baroni, Inglesi, Normanni, Pittavini e Guasconi, Sanno bene che non lascerei marcire in prigione Per denaro neanche l’ultimo dei miei compagni. E non lo dico certo per rimproverarvi, Ma perché sono ancora qui prigioniero.
Or sai je bien de voir, certeinnement, Que je ne pris ne ami, ne parent, Quant on me faut por or ne por argent. Mout m’est de moi, mès plus m’est de ma gent; Qu’après ma mort avront reprochement, Se longuement sui pris.
Ora so bene, con certezza, Che un prigioniero non ha più parenti nè amici, Poiché mi si tradisce per oro o per argento. Soffro molto per me, ma più per la mia gente, Poiché, dopo, la mia morte sarà biasimata Se a lungo resterò prigioniero.
N’est pas mervoille se j’ai le cuer dolent, Quant mes sires mest ma terre en torment. S’il li membrast de nostre soirement Que nos feïsmes andui communement, Je sai de voir que ja trop longuement Ne seroie ça pris.
Non c’è da meravigliarsi se ho il cuore dolente, Dato che il mio Signore tormenta la mia terra. Se si ricordasse del nostro giuramento Che entrambi facemmo di comune accordo, So con certezza che mai, adesso, Da così tanto sarei prigioniero.
Ce sevent bien Angevin et Torain, Cil bacheler qui or sont riche et sain, Qu’encombrez sui loing d’aus, en autre main. Forment m’aidessent, mais il n’en oient grain. De beles armes sont ore vuit et plain, Por ce que je sui pris.
Lo sanno bene gli Angioini e i Turennesi, Quei baccellieri che son sani e ricchim ora, Che io sono lontano da loro, in mano ad altri. Mi aiuterebbero molto, ma non ci sentono. Di belle armi e di scudi sono privi, Perché io sono qui prigioniero.
Contesse suer, vostre pris soverain Vos saut et gart cil a cui je m’en clain; E por ce que je sui pris. Je ne di mie a cele de Chartrain, La mere Loëys.
Sorella Contessa, che conservi e protegga Il vostro alto pregio Colui cui mi appello E per cui sono prigioniero. E non lo dico certo a quella di Chartres, La madre di Luigi.
Due mercoledì fa ha avuto inizio questo cammino musical letterario nelle ballate omicide con due Murder Ballads di Nick Cave. Delle origini della prima, Henry Lee, si è parlato, letto ed ascoltato mercoledì scorso. Questo mercoledì è dedicato alla seconda, Where the Wild Roses Grow, in duetto con Kylie Minogue. Il brano di struggente liricità è qui proposto in una versione acustica registrata nel 2011 per l’album The Abbey Road Sessions.
Diversamente da Herny Lee, Where the Wild Roses Grow non trae origine diretta da una ballata più antica, tuttavia nel passato trova ispirazione, essendo composta con il pensiero rivolto a Down in the Willow Garden, brano irlandese di cui si hanno le prime tracce certe nel 1811, con il titolo Rose Connelly. Di Down in the Willow Garden vi propongo due versioni. La prima è vicina nel tempo (2013) e nel gusto ed è tratta dall’album Foreverly di Billie Joe Armstrong & Norah Jones.
Down in the willow gardenWhere me and my true love did meet,It was there we were courtin’,My love fell off to sleep.I had a bottle of burgundy wine,My true love she did not know.It was there I murdered that dear little girlDown on the banks below.I drew my saber through her,It was a bloody knife,I threw her into the river,It was a horrible sight.My father oft had told meThat money would set me freeIf I would murder that poor little girlWhose name was Rose Connelly.Now he stands at his cabin door,Wiping his tears from his eyes,Gazing on his own dear son, Upon the scaffold high.My race is run beneath the sun,The Devil is waiting for me,For I did murder that dear little girlWhose name was Rose Connelly La seconda è quella più canonica degli The Everly Brothers, registrata nel 1958.
E’, purtroppo, difficile trovare una versione di qualità che suoni come l’originale irlandese, perché il brano è divenuto famoso negli Stati Uniti, come ballata di stile appalachiano, soprattutto a partire dalle prime incisioni discografiche del 1927 e 1928 di Greyson & Whitter, con il titolo di Rose Conley.
Ad assicurarci l’origine irlandese della ballata è una poesia di William Butler Yeats, Down by the Salley Gardens del 1889:
Down by the salley gardens my love and I did meet;
She passed the salley gardens with little snow-white feet.
She bid me take love easy, as the leaves grow on the tree;
But I, being young and foolish, with her would not agree.
In a field by the river my love and I did stand,
And on my leaning shoulder she laid her snow-white hand.
She bid me take life easy, as the grass grows on the weirs;
But I was young and foolish, and now am full of tears.
di questa poesia esiste una suggestiva versione musicale della canadese Loreena McKennitt
In realtà la poesia di Yeats e tutte le ballate precedenti fanno riferimento seguenti versi di The Rambling Boys of Pleasure: “It was down by Sally’s Garden one evening late I took my way.‘Twas there I spied this pretty little girl, and those words to me sure she did say.She advised me to take love easy, as the leaves grew on the tree.But I was young and foolish, with my darling could not agree.” Questa la versione del 1979 di Andy Irvine, che conserva il sapore di un’antica semplicità.
Follia giovanile e morte dell’amata non possono che ricondurre all’ Ophelia di Hamlet (W. Shakespeare, 1602). Per tale ragione in testa ed in coda al post troviamo i dipinti di Arthur Hughes (1852) e di John E. Millais (1852), entrambi dal titolo Ophelia.