Ne nasce una conversazione a quattro in cui il Poli dietro le quinte ammalia i tre redattori. L’intervista, vulcanica, impertinente, bellissima, viene presentata così come è stata registrata, senza tagli o aggiustamenti.
Certi provvedimenti per risolvere le “cose italiane”, e non solo, mi hanno ricordato il testo di The Trees della band canadese Rush, presente nell’album Hemispheres del 1979.
Un certo malcontento serpeggia nella foresta, gli aceri si lamentano perché le alte querce “rubano” loro tutto il sole.
Da parte loro le querce hanno difficoltà a capire perché gli aceri non possano esser lieti nella loro ombra.
La situazione diviene presto insostenibile, le creature del bosco lo abbandonano, ed alfine giustizia è fatta attraverso… tagli, tagli e tagli
La musica potrebbe risultarvi ostica: i Rush non sono amati da tutti, ma… confido possiate cambiar idea.
There is unrest in the forest There is trouble with the trees For the maples want more sunlight And the oaks ignore their pleas
The trouble with the maples (And they’re quite convinced they’re right) They say the oaks are just too lofty And they grab up all the light But the oaks can’t help their feelings If they like the way they’re made And they wonder why the maples Can’t be happy in their shade
There is trouble in the forest And the creatures all have fled As the maples scream ‘Oppression!’ And the oaks just shake their heads
So the maples formed a union And demanded equal rights ‘The oaks are just too greedy We will make them give us light’ Now there’s no more oak oppression For they passed a noble law And the trees are all kept equal By hatchet, axe and saw
“La gente ci chiede perché non facemmo qualcosa, perché non fuggimmo, perché non ci nascondemmo. Le cose non successero di colpo, ma lentamente…
Fuori era buio. Pensai: questo è l’inferno di un pazzo…”
Nell’ambito dell’evento Segrete Tracce di Memoria – Alleanza di Artisti in Memoria della Shoah, VIII edizione, ideato e curato da Virginia Monteverde, è andata in scena nella suggestiva ambientazione delle prigioni della Torre Grimaldina di Palazzo Ducale di Genova, l’azione teatrale NON DIMENTICARMI, ideata e interpretata da Franca Fioravanti del Teatro delle Nuvole.
All’interno della cella che ospitava la videoinstallazione di Armida Gandini, Franca Fioravanti evoca alcune memorie di sopravvissute dell’olocausto, elaborate drammaturgicamente dall’autore Marco Romei.
Le leggi razziali, le deportazioni, il viaggio verso i campi di sterminio, lo strazio della separazione dai propri cari, la marchiatura, la diversità, il freddo, la fame, la morte: sono frammenti di un incubo che Franca Fioravanti, senza retorica e senza compiacimenti, porge in modo lieve ma profondo, partecipe e intenso. L’attrice danza con le parole, suona un cuscino di foglie, conduce gli ascoltatori in un’altra dimensione, e infine danza un ballo di liberazione.
Il pubblico entra silenzioso in piccoli gruppi, al suono di un valzer remoto, e si dispone in circolo all’ascolto, diventando “Testimone” degli eventi descritti dall’attrice, che infatti, alla fine, chiede alle persone di non dimenticare, di raccontare, una volta usciti dalla cella, la storia appena sentita, la vita delle persone comuni che, anche nell’orrore, non hanno mai perso la speranza e l’amore per la vita.
Genova, 27 gennaio 2016
Fotografie di Patrizia Lanna
Per chi volesse approfondire, ed è certamente il caso di farlo, reindirizzo alla pagina FB dell’evento http://on.fb.me/1TlsRvP
Esistono forze che spingono affinché ogni cosa sia dimenticata.
Dimenticando cosa siamo stati non possiamo riconoscere negli altri il nostro sguardo di un tempo.
Per ridare voce alla memoria ripubblichiamo una intervista a Nuto Revelli, scrittore, prima ufficiale dell’esercito italiano nella seconda guerra mondiale e poi partigiano.
La traduzione del cantautore americano Mort Shuman, resa famosa da David Bowie presenta rispetto all’originale in francese alcune differenze significative che potete apprezzare nel confronto tra le traduzioni italiane delle due versioni:
La Mia Morte (Jacques Brel / Mort Schuman)
La mia morte aspetta
come un vecchio dissoluto
Così sicuro che gli andrò incontro
Fischia a lui e al passare del tempo
La mia morte aspetta
come una verità biblica
Al funerale della mia giovinezza
Piange forte per questo
e per il passare del tempo
La mia morte aspetta
come una strega nella notte
Certo com’è brillante il nostro amore
Non pensiamo al passare del tempo
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
Non c’è molto da fare
Angelo o diavolo, non m’importa
Perché di fronte a quella porta ci sei tu
La mia morte aspetta
come un mendicante cieco
Che vede il mondo
attraverso una mente spenta
Tiragli una moneta
per il passare del tempo
La mia morte aspetta lì,
in mezzo alle tue cosce
Le tue dita fredde
chiuderanno i miei occhi
Non pensiamo a questo
e al tempo che passa
La mia morte aspetta
per consentire ai miei amici
Di divertirsi un po’ prima della fine
Così brindiamo a questo
e al passare del tempo
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
Non c’è molto da fare
Angelo o diavolo, non m’importa
Perché di fronte a quella porta ci sei tu
La mia morte aspetta lì fra le foglie
Fra le maniche misteriose dei maghi
Conigli e cani e il passare del tempo
La mia morte aspetta lì fra i fiori
Dove l’ombra più nera,
l’ombra più nera si ritrae
Raccogliamo i lillà per il passare del tempo
La mia morte aspetta là
in un letto matrimoniale
Con vele d’oblio nella mia testa
Così tiriamo su le lenzuola
contro il passare del tempo
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
Non c’è molto da fare
Angelo o diavolo, non m’importa
Perché di fronte a quella porta ci sei tu
La versione soprastante, presente nell’ultimo concerto di Ziggy Stardust and the Spiders of Mars, fu pubblicata solo dieci anni dopo, nel 1983, in Ziggy Stardust – The Motion Picture, colonna sonora di quei concerti.
Come spesso nella sua carriera, Bowie ha fornito diverse reinterpretazioni delle sue proposte.
Fra esse vi propongo questa registrazione del 1995.
*La traduzione italiana di La Mort di Brel mi è stata regalata al volo da Letizia Merello, poiché non ne esistevano di accettabili, in occasione del Reading Eros e Thanatos. Io vi ho poi apportato minime modifiche.
Smessa l’immagine pubblica, al di là del calar del sole, si rivelano verità che solo le luci soffuse della notte possono ascoltare. Ksenja Laginja svela i propri assedi ed attese quotidiani, il sentire misurato in distanze corporee, racchiuso negli oggetti comuni od in immagini inconsuete, altre volte confinato nel buio di angoli e tasche.
Asciutti, precisi, a tratti taglienti, eppure simbolici e quindi fortemente evocativi, i suoi versi ci arrivano improvvisi come un pugno e rassicuranti come un volto noto: ci sembra subito di comprenderli, di riconoscerci, tuttavia, voltata la pagina, si ha la netta sensazione di aver lasciato qualcosa indietro, di voler rileggere.
Ricco di riferimenti letterari e piani di lettura, Praticare la Notte è un libro complesso eppure diretto, bello, perché porto col cuore di un’anima pronta.
Se amate la poesia non potete non leggerlo e, ovviamente, comprarlo.
Nel Giugno del 1986, usciva il penultimo album degli Smiths: The Queen is Dead
La quinta traccia dell’album è una canzone, Cemetery Gates, nel cui testo, l’autore, incontrando il suo interlocutore o interlocutrice, presso i cancelli di un cimitero, afferma che Keats (John) e Yeats (William Butler) siano dalla di lui o la di lei parte, mentre Wilde (Oscar) dalla propria.
Voi da che parte vi schierate?
A dreaded sunny day
so I meet you at the cemetery gates
Keats and Yeats are on your side
A dreaded sunny day
so I meet you at the cemetery gates
Keats and Yeats are on your side
while Wilde is on mine
So we go inside and we gravely read the stones
all those people all those lives
where are they now?
with the loves and hates
and passions just like mine
they were born
and then they lived and then they died
seems so unfair
and I want to cry
You say: “ere thrice the sun done salutation to the dawn”
and you claim these words as your own
but I’ve read well, and I’ve heard them said
a hundred times, maybe less, maybe more
If you must write prose and poems
the words you use should be your own
don’t plagiarise or take “on loans”
there’s always someone, somewhere
with a big nose, who knows
and who trips you up and laughs
when you fall
who’ll trip you up and laugh
when you fall
You say: “ere long done do does did”
words which could only be your own
and then you then produce the text
from whence was ripped some dizzy whore, 1804
A dreaded sunny day
so let’s go where we’re happy
and I meet you at the cemetery gates
Oh Keats and Yeats are on your side
A dreaded sunny day
so let’s go where we’re wanted
and I meet you at the cemetery gates
Keats and Yeats are on your side
but you lose because Wilde is on mine
Acqua, sale, farina 00, olio d’oliva, lievito di birra, il tutto cosparso di farina di polenta direttamente sulla piastra.
Ingredienti semplici a formare una tra le più magiche focacce salate liguri: la focaccia di Priano a Genova Voltri.
Ed è con il breve racconto biografico Fugassa de Utri* che iniziamo una sicuramente proficua e spero continuativa collaborazione con Gianni Priano, poeta e narratore di grande umanità e spessore.
Non c’è nulla di Gianni che possa dire meglio delle sue stesse parole, così, come già feci presentando alcune sue poesie, taglio corto e vi rimando direttamente al testo: qui.
Prima di congedarmi, una breve annotazione: vi ricordo che è possibile ricercare gli autori presenti sul sito tramite la funzione di ricerca, cosa che caldeggio vivamente per Priano, presente nel sito con poesia in lingua, poesia in dialetto molarese ed ora con scritti in prosa.
Quanto alla focaccia di Priano, posso ben dire che negli anni del liceo mi formò ben più di Kant e Pascal.