in assedio accade
che il respiro si fermi
aggrappato alle labbra
sull’equilibrio precario
delle parole non dette.
Accade poi il contrario
che le parole escano
imbizzarrite annerite dalla guerra
indurite dal tempo
e in quell’istante colpiscano
senza alcun preavviso.
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Alta e verticale sto
come una roccia a picco sul mare
e nulla scompone
questa assenza orizzontale.
Alta e verticale sto
a sorvegliare pinne e abissi
quella sovranità feroce che danza
nutrendo piedi uncini e radici.
Alta e verticale sto
a setacciare pietre lucide
nella tempesta di boe e cefali
che si incrociano dentro me
in una guerra silenziosa.
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Misuro un palmo dopo l’altro
la distanza fra i nostri corpi:
in qualche modo
Ho socchiuso la porta
perché l’ultima traccia di te
abbandonasse quelle stanze
insieme alla caffettiera che
comprammo a natale
a tutte le cose
lasciate cadere distrattamente
agli angoli della cucina.
Un bottone sul tavolo
mi ricorda che il passato
esce sempre dall’ingresso principale
che le porte non si chiudono
mai definitivamente
e che le serrature – spesso
sono difettose.
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Ce l’hanno chiesto così spesso
e tutto ciò risuona come allora
nella risposta: “Restiamo qui”
cogliamo l’attimo la virgola il punto
ché a nulla serve trattenere il fiato
contare i passi l’assenza il tempo
di questo lento divorare.
Ce l’hanno chiesto troppe volte
e noi vi rispondiamo ancora
in quell’assiduo nominare i fatti
le cose e le persone col loro nome
rinviando soltanto un poco il giorno
in cui non ci verrà più chiesto nulla.
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Dicono che ognuno sia il frutto del suo fare
di tutte quelle assenze estese ai fianchi
sull’inasprirsi delle ore e dei vestiti
in quell’agire buio attorno agli angoli
del noi in preghiera sulla tavola.
Dicono che ognuno sia il frutto del suo fare
in ogni ombra incisa sui bicchieri
nei tovaglioli arresi alle ginocchia
su ogni briciola caduta o attesa
che appoggia i gomiti per separarci.
Ora nel piatto c’è solo il vuoto
a riempire di silenzio il ventre
che svuota il pane e ogni senso.
Dicono che ognuno sia il frutto del suo fare
ma oggi ti racconto un’altra storia
per ricordarti che siamo altro
cerchi incompleti oltre quel frutto
ché nella debolezza di una voce
siamo il respiro che non ha tregua.
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Le immagini della pagina sono di Ksenja Laginja.
Si ringrazia Giuliano Ladolfi Editore per l’autorizzazione alla pubblicazione.