Poesia in Musica e Canzone Randagia

Formaldeide_BobbySoul_AlessioCaorsi

Chi conosce Formaldeide e Bobby Soul sa che frequentano mondi prossimi, ma paralleli.

La realtà di Formaldeide (Bettina Banchini, voce recitante, e Lorenzo Guacciolo, chitarra emotiva) è quella di una musicopoesia spesso confessionale, dai toni acidi e sferzanti, ironici e disperati, in un gioco di estremi tenuti assieme da sei corde incredibili.

Bobby Soul (accompagnato da Alessio Caorsi alla chitarra rovente) è un cantattore dalla voce nerissima e dal sorriso rassicurante, con un repertorio soul, funk, blues.

L’associazione pare inedita e coraggiosa, la distanza incolmabile.

Poi, si apre il sipario e Formaldeide si manifesta: è un universo femminile messo a nudo, fatto di pelle, sogni e qualche taglio, nella tensione ondivaga ed onirica creata dalla sinergia avvolgente di voce e chitarra.

In questo universo, sulle ali di un’eco, piomba la calda e terrena energia maschile di Bobby ed Alessio: You do something to me.

Ogni dubbio cade, il palco non mente: restituisce ciò che dai, supera schemi, classificazioni, preconcetti.

Si tratta della più antica ed affascinante storia di sempre: lui e lei si inseguono, si stuzzicano, entrano in contatto profondo ed inevitabilmente non si comprendono.

In questa schermaglia eterna interviene Viviane Ciampi, nel suo francese delicato ed affascinante, cantando l’irridente gioia di vivere di Boris Vian, per ricordarci che viviamo un destino comune e mortale.

Potrebbe esser un buon finale, ma è lo stesso Vian (declamato prima in originale da Viviane, poi in traduzione da Bettina) a riportarci nel nostro mondo imperfetto, finito e romantico, in cui uomo e donna cercano di fare il proprio meglio, aree creature del vento che si attaccano l’un l’altra per non disperdersi…

Il dialogo a distanza riprende su un piano più alto e consapevole, e le voci lasciano il campo alle chitarre, alla ricerca di una lingua comune, in un fraseggio prima accennato poi fitto, caldo ed avvolgente, in cui gli stili si fondono in un altro atto d’amore, conducendoci altrove. Vorremmo non finisse mai…

“Dormi, dormi adesso dentro la mia pelle” dice lei.

“Questo mio mondo” – risponde lui, rassicurante – “ma non sarebbe nulla senza una donna”.

Sembrerebbe tutto ricomposto nel canonico lieto fine, ma non è così.

Bettina legge “Per il mio amante, che torna dalla moglie” di Anne Sexton  e dissolve l’acquarello.

 

Protagonisti convincentissimi… Quando lo ridanno?

 

 

L’ultimo giro dei pipistrelli – di Gianni Priano

P Cammino

Seconda parte delle poesie in dialetto molarese di Gianni Priano a cui ho dato il titolo arbitrario L’ultimo giro dei pipistrelli.

In questa seconda parte i temi si diversificano, percorrendo strade impensabili per la poesia dialettale tradizionale.

Impensabili e spiazzanti, come ogni manifestazione di un microcosmo che si fa universo.

Leggetele: QUI.

 

 

 

 

 

“Ra differàinza”

P Differenza

Gianni Priano ci regala 9 sue poesie nel dialetto di Molare, paese dell’alessandrino sulla ex strada statale del Turchino da Ovada ad Acqui Terme per un nuovo capitolo delle Lingue dell’Altra Italia.  

Sono felice di questo dono, a lungo cercato, perché se la differenza, linguistica e non solo, è ricchezza, i dialetti sono forzieri stracolmi di espressioni, modi di dire e pensare che non devono andar perduti.

Troverete in questa prima parte delle poesie “molaresi” di Gianni Priano, a cui ho dato il titolo “Ra differàinza” (La differenza) persone, colori e suoni di uno dei presenti possibili, alternativi a quello attuale globalizzato, un presente radicato in un’antica tradizione popolare, portato oltre i propri ristretti confini territoriali da una penna profonda e leggerissima al tempo stesso.

Non vi tratterrò oltre, perché è impossibile farlo… io stesso non vedo l’ora di rileggerle!

Ricordo per i pochi rimasti che Gianni Priano è presente in questo sito anche con alcune poesie in lingua italiana, pubblicate sul numero 6 de Il babau.

 

 

 

 

 

 

 

 

The Unquiet Grave of Dives and Lazarus

Post musical letterario del mercoledì a cavallo di 6 secoli.

Ci sono tanti modi di raccontare una storia quanti, e forse più, ce ne sono di affrontare la realtà.

Quando poi la storia è affidata alla tradizione orale ed ai cantastorie può succedere qualsiasi cosa. Così di The Unquiet Grave, ballata inglese che sembra risalire al 1400, esistono quasi una ventina di versioni testuali non sempre associate alla stessa melodia. Il già altrove citato Francis J. Child nel 1868 la cataloga al nr. 78 delle Child Ballads, mostrandone dieci varianti.

Il tema, notissimo nelle ballate popolari, è quello dell’inconsolabile dolore di un giovane per la morte dell’amata. Le varie versioni presentano differenze testuali, melodiche ed anche concettuali.

La prima che vi propongo è un arrangiamento del 1973 dei Gryphon, nell’omonimo disco di esordio. Si tratta di una variante suggestiva della 78E che utilizza la musica di un’altra ballata del 1600: Dives and Lazarus (Child 56).

Cold blows the wind to my true love and gently falls the rain.
I only had but one true love, and in green woods she lies slain.
I’ll do as much for my true love as any young man may –
I’ll sit and mourn along the grave for a twelve-month and a day.

When the twelve-month and a day was done, the ghost began to speak:
“Why sittest thou along my grave and will not let me sleep?”
There’s one thing that I want, sweetheart, there’s one thing that I crave,
And that is a kiss from your lily-white lips. Then I’ll go from your grave.

“My lips they are as cold as clay, my breath smells earthy strong,
And if you kiss my lily-white lips, your days they won’t be long.
Go fetch me water from the desert, and blood from out of stone;
Go fetch me milk from a fair maid’s breast that never a young man has known.”

‘Twas down in Cupid’s Garden, where you and I would walk,
The fairest flower that ever I saw is withered to a stalk.
The stalk is withered and dry sweetheart, the flower will ne’er return,
And since I lost my one true love, what can I do but mourn?

When shall we meet again, sweetheart? When shall we meet again?
“Ere the oaken leaves that fall from the tree are green and spring up again.”

Più lineare la versione catalogata 78A, in cui la defunta consiglia all’amato di lasciarla e di vivere la propria esistenza. A dar voce a questa variante, con melodia celtica, Luke Kelly dei Dubliners,pubblicata nel 1975, nell’album Now.

‘The wind doth blow today, my love,
And a few small drops of rain;
I never had but one true-love,
In cold grave she was lain.

‘I’ll do as much for my true-love
As any young man may;
I’ll sit and mourn all at her grave
For a twelvemonth and a day.’

The twelvemonth and a day being up,
The dead began to speak:
‘Oh who sits weeping on my grave,
And will not let me sleep?’

‘Tis I, my love, sits on your grave,
And will not let you sleep;
For I crave one kiss of your clay-cold lips,
And that is all I seek.’

‘You crave one kiss of my clay-cold lips;
But my breath smells earthy strong;
If you have one kiss of my clay-cold lips,
Your time will not be long.

‘Tis down in yonder garden green,
Love, where we used to walk,
The finest flower that ere was seen
Is withered to a stalk.

‘The stalk is withered dry, my love,
So will our hearts decay;
So make yourself content, my love,
Till God calls you away.’

Suggestiva, declinata al femminile, dalla parte del fantasma, la versione proposta da Kate Rusby nel 1999, nell’album Sleepless.

Vagando per youtube ed il web avrete la possibilità di ascoltare proposte note, come quella di Joan Baez, che utilizza la versione testuale 78E (la stessa dei Gryphon), e meno note, come quella del gruppo Darkwave Helium Vola, che dei Gryphon arrangia la melodia. Questa melodia, come si è detto, appartiene a Dives and Lazarus, trasposizione in forma di ballata della parabola Il ricco e Lazzaro.

Giunto a Dives and Lazarus, non posso che proporvi Five Variants of ‘Dives and Lazarus’ composte nel 1939 da Ralph Vaughan Williams e dirette da Sir Neville Marriner.

Forse Vaughan Williams non sarà un innovatore, probabilmente apparirà banale, ma….

XXVII. L’Amor Indolente

Per te scalerei le Alpi e l’Himalàya
Sfigurar vorrei la tua risata gaia
di spasmi d’amore, candido mio giglio,
d’ogni fiore più bella, sogno di rosa,
profumo di pesco, canto di mimosa!
Mi vuoi? “Ti voglio!” Pregusto il giaciglio!
Mi dici: “Ti penso, t’attendo, ti bramo!”
Anch’io ti bramo, e azzardo un “ti amo!”
“Vieni, dai vieni, sto al numero venti!”
Venti di passione, tripudio, bollore!
“Venti, settimo piano, senz’ascensore!”
Sette! Oh Giglio, Oh Rosa, oh Mimosa!

Sette?! Sette son troppi! No, non è cosa!

C. M. Marenco (2015)

110 La Jella Addormenta nel Bosco

Alberto Repetti, La Jella Addormentata nel Bosco (1993)

Senza Parole

Post musicale letterario del mercoledì piuttosto anomalo. Due brani tratti da Genealogia, album del Perigeo, 1974.

Genealogia

Via Beato Angelico

Ve li porgo così, privi di collegamenti letterari e con un’unica indicazione: pazienza.

Se già non li conoscete potrebbero rivelarsi una sorpresa ed un avvicinamento ad un altro orizzonte.

Controcorrente

Post musicale del mercoledì controcorrente.

Oddio, controcorrente rispetto a quel che ascolto di solito e, forse, rispetto ad alcuni pregiudizi.

La presento così Yuja Wang – Stravinsky – Petruschka (piano version)

Il brano è contenuto in Transformation (Deutsche Grammophon, 2010).

Motivo della scelta? Ho visto un concerto di  Yuja Wang e mi ha incuriosito, anche per le giocolerie pianistiche…

Tutto qui… e poi perché, come anticipato, si tratta di una scelta per me Controcorrente, come il titolo del mio racconto.

Per chi ha letto il post della scorsa settimana, Controcorrente è la parte riversa di A Rebours.