Time-shift

Peter De Ville left us on 27th September 2019 in hospital, aged 74, at Loughborough.

L’ho scoperto il quattro di luglio di quest’anno.

Un’altra luce si è spenta, ho pensato.

Peter ed io eravamo buoni conoscenti, quasi amici, un rapporto distante ma stabile, che risaliva alla prima metà degli anni 90, quando, ricevuti alcuni suoi racconti tradotti in italiano, decidemmo di pubblicarlo.

Poco dopo, visto che abitava a Genova, lo incontrai. A quel primo incontro ne seguirono molti altri, a volte ravvicinati, come quando lavorammo alla traduzione del suo Djagilijinsky, altre volte distanziati di anni.   

Non sono un buon narratore di persone e detesto i quadretti scritti, quindi mi limiterò ai ricordi culinari delle sue surreali pastasciutte anglo-italiane in Vico Salvaghi, sui tetti della Maddalena, e della sua avversione per “trippa e nervetti”, pronunciati nel modo più inglese immaginabile.

Mite e gentile, Peter era un viaggiatore solitario di luoghi ed animi, dallo sguardo attento ed illuminato, a tratti asciutto, lapidario, altre volte ironico. Alcune sue pagine sono straordinarie, leggetele.

Aggiungo oggi al sito Ospiti, racconto che pubblicammo nel 1994, un autentico piccolo gioiello. Avrei dovuto farlo prima, come molte altre cose che non faccio perché penso d’aver tempo.

Time-shifted, osservavo nella notte la luce di una stella, ormai spenta.

C. M. M.

Il sito ospita 3 racconti di Peter De Ville:

La divertentissima raccolta di iscrizioni da WC:

Sono presenti anche 4 testi poetici:

Per chi fosse interessato al tema Nijinsky – Djagilev è possibile consultare i post:

 

Intorno a Nico Orengo

Ripubblichiamo una conversazione che Il babau ebbe con Nico Orengo nel 1992.
Lo facciamo in occasione dell’incontro su Nico Orengo, “poeta della pagina e della vita” che si terrà domani, mercoledì 12 febbraio 2020, ore 17-19, presso la Biblioteca Universitaria di Genova. All’incontro parteciperanno Laura Guglielmi, Marco Cassini e i lettori di Genova Voci, Karoline Borelli, Alberto Nocerino, Paolo Paolini, Luca Valerio.

L’intervista, sicuramente datata, offre tuttavia degli interessanti spunti di riflessione su quanto è avvenuto al mondo letterario negli ultimi trentanni ed offre una finestra rilassata sull’Orengo giornalista e scrittore negli anni 90.
Ricordo ancora con piacere quel pomeriggio in cui io ed Eugenio Fici, andammo a trovare Orengo presso la sede torinese della Stampa, in Via Carlo Marenco, drammaturgo mio omonimo. Imparammo molte cose. L’intervista la trovate QUI.

Vitali ed il giallo della controversa Ciaccona

Giallo?!

I titoli, si sa, a volte sono lanciati come succose esche per raccogliere il possibile nelle acque meno pescose. Tuttavia, lo confermo, quello della Ciaccona in G minore è un caso strano.

Se ne sente parlare in modo cospicuo solo nel 1867 quando il violinista tedesco Ferdinand David la pubblica nel suo Die Hoch Schule des Violinspiels, traendo spunto da un manoscritto pubblicato presso l’Archivio di Stato Sassone di Dresda.

Il manoscritto reca in testa “parte del Tommaso Vitalino” e quindi l’attribuzione a Tomaso Antonio Vitali (1663-1745), appare non così certa, a meno che non si giustifichi il diminutivo con il fatto che Tomaso Antonio fosse figlio del noto musicista Giovanni Battista Vitali, e quindi potesse esser chiamato Vitalino.

Naturalmente non c’è prova della cosa, inoltre David poi ci mette del suo, non limitandosi a qualche “aggiustamento”, ma realizzando una vera parte per pianoforte come continuo, ed ancora più variando la melodia del violino, apportandole un chiaro sapore romantico.

E se non bastasse questa Ciaccona in Sol Minore, basata sul  basso ostinato ‘sol-fa-mi♭-re’, tocca nelle sue modulazioni delle tonalità inusuali per il barocco, quali il Si Bemolle minore.

Insomma, siamo proprio certi che si tratti di un opera a cavallo del 1700? L’autore a cui viene  attribuita non è molto prolifico e innovativo, ed è più che altro noto per esser stato direttore dell’Orchesta della Corte Estense di Modena dal 1707 e per aver contribuito a fondare l’Accademia Filarmonica di Bologna?

Nel dubbio ascoltiamo la versione tratta dal manoscritto “Parte del Tomaso Vitalino” depositato presso la Sächsische Landesbibliothek Dresden, Mus. 2037/R/1.

Attilio Motzo al Violino barocco Fabrizio Marchionni  all’Organo con funzione di basso continuo.

Barocco? Posteriore?

Ora posso rivelarlo, recentemente è stato identificato il copista del manoscritto conservato a Dresda: si tratta di Jacob Lindner, che lavorava alla Hofkapelle di Dresda tra il 1710 e il 1730. Questa scoperta,s non avvalora l’attribuzione a Vitali, quantomeno ne conferma la datazione.

A partire dalla trascrizione di David, ne seguono svariate altre, prima fra tutte quella di Charlier, per violino e organo, ma ci piace qui presentare quella per orchestra di Ottorino Respighi del 1908.

Per chi volesse approfondire ce n’è per tutti i gusti: Heifetz che la portò al suo debutto a New York del 1920, oppure questa straordinaria di Oistrakh

Insomma, se vi incuriosisce cercate, cercate.

Ho ascoltato una trascrizione per viola di Arnold, un paio di esibizioni moderne e romantiche di Sarah Jang e un’interessante trascrizione coreana per settetto d’archi.

Volendo, di qualità video amatoriale, c’è una bella versione di Ughi per Orchestra.

Abbiamo risolto il giallo? I morti son tanti, non ci sono assassini e la Ciaccona è vivissima!

Jindo e Pungsan

Alle 2 pomeridiane del 1 marzo 1919, presso il ristorante Taehwagwan di Seoul, 33 attivisti del movimento Sam-il (3-1) lessero la dichiarazione di indipendenza coreana, redatta dallo storico Choe Nam-seon.

Copia di questo documento, firmata da tutti gli attivisti fu mandata al Governatore Generale della Penisola Coreana, che al tempo era colonia Giapponese.

Il Movimento del 1 Marzo fu violentemente soppresso dai giapponesi e l’indipendenza coreana arrivò solo il 15 agosto 1945, giorno della resa dell’imperatore giapponese Hirohito.

Il 1 marzo di quest’anno ricorreva il centenario di quella prima unilaterale dichiarazione di indipendenza.

In questa data ho sentito parlare per la prima volta dei Jindo e dei Pungsan.

Il cane coreano Jindo, così chiamato perché originario dell’omonima isola sud coreana, è ben noto per la sua incrollabile lealtà e la sua natura gentile.

Per queste qualità nel 1962 il governo della Corea del Sud ha designato il Jindo 53 ° “Tesoro naturale”, ponendolo sotto la salvaguardia della Legge sulla Protezione delle Proprietà Culturali.

L’incrollabile lealtà e devozione dei Jindo nei confronti dei loro padroni è esemplificata dalla storia di Baekgu, un Jindo di sette anni che, dopo essere stato venduto ad un nuovo proprietario a 300 km da casa, dopo uno sfiancante viaggio durato sette mesi, è tornato con la sua vecchia padrona, al fianco del quale è rimasto fino morte.

A Baekgu sono state dedicate una statua di bronzo e un monumento in pietra con la scritta “I giovani dovrebbero imparare dal fedele cane bianco”.

 

Diverso il destino dei Pungsan: cani da caccia allevati sugli altipiani Kaema della Corea del Nord, noti nei secoli fin in Cina ed in Mongolia per il coraggio e la tenacia estrema, sono stati soggetti di contrabbando.

Forte, raro e prezioso, si narra che un Pungsan possa sconfiggere cani addestrati alla lotta come i pastori tedeschi e che tre Pungsan possano cacciare una tigre, come documentato da testi ed immagini antiche.

A sancire ulteriormente l’importanza di questi cani, durante il summit inter-coreano del 2000, il leader nordcoreano Kim Jong-il ha fatto dono di due cani Pungsan al presidente sudcoreano Kim Dae-jung.

In cambio, Kim Dae-jung ha donato due cani Jindo a Kim Jong-il.

I Pungsan si chiamavano Dangyol (“Unità”) e Jaju (“indipendenza”) ma furono in seguito rinominati Uri (“Noi”) e Duri (“Due”). Inizialmente ospitati nella Casa Blu, residenza del presidente sudcoreano, furono poi trasferiti allo Zoo di Seoul, dove diedero alla luce 15 cuccioli.

 

 

Si narra infine che qualche tempo fa, d’inverno, durante una tempesta di neve, un anziano avesse un incidente nei campi. I familiari dopo molte ore di ricerca avevano perso ogni speranza, quando trovarono il vecchio esanime, ma vivo, salvato da un cucciolo di cane che lo aveva scaldato con il proprio corpo.

Questo cane era un incrocio tra un coraggioso Pungsan ed un fedele Jindo, mirabile unione tra i cani rappresentativi dei due popoli.

Cosa potranno fare le due Coree unite?

MAPPING THE GARDEN • MAPPING THE SKY

ORTO BOTANICO IL GIARDINO DEI SEMPLICI
Giovedì 14 settembre dalle ore 15.30
Evento collaterale alla mostra
Rose e foglie, su una linea di silenzio

mapping

MAPPING THE GARDEN • MAPPING THE SKY
a cura di Beth Vermeer

Partendo dai sensi, bambini e adulti possono esplorare forme, colori, odori del
Giardino e dei suoi elementi. Insieme a Meri Iacchi, artista fiorentina, creano
una grande mappa dell’inventario esistente attraverso le tecniche dell’arte e i
diversi materiali. Mapping the Garden è il nuovo laboratorio che racconta l’Orto
Botanico per immagini, realizzando una grande opera collettiva.

Dalle pratiche creative del Giardino si cambia alle osservazioni del Cielo.

Lo scienziato Alberto Righini, Università di Firenze, offre un suo intervento sull’importanza dell’astronomia per il ciclo dinamico della Natura. La serata si conclude con un incontro tra poeti e astronomi che esplorano l’universo adoperando linguaggi diversi ma complementari.

Due squadre maestre si confrontano interagendo con il pubblico per diffondere la scienza che incontra la poesia. Ruggero Stanga, Eleonora Bianchi, Barbara Olmi ed Emanuele Pace, forniscono una mappatura del cielo mentre Karoline Borelli, Carlo Michele Marenco, Alberto Nocerino, Giovanna Olivari e Lidia Riviello completano il disegno universale con poesie e testi tessuti di fiori e di stelle.

Il Foglio e lo Straniero

Cosa ci fa uno straniero su il Foglio?

E prima ancora che cosa è il Foglio?

Qualcosa possiamo intuire dall’immagine di testa: è un periodico della Biblioteca di Tiglieto, splendida terra di mezzo al confine tra le provincie di Genova, Savona ed Alessandria. 

Si tratta di poche pagine di grande qualità, otto in questo numero, coordinate da Gianni Priano, poeta che abbiamo imparato a conoscere attraverso i suoi libri, e, parzialmente, anche in queste pagine.

E’ una pubblicazione interessante di cui ci occuperemo prossimamente.

Ora abbiamo un’urgenza: la gestione degli stranieri non è mai facile.

Per quale motivo su il Foglio si parla de Lo Straniero?

Da dove viene? 

Dove è apparso?

A Tiglieto, ad Urbe o in quale altra località? 

Non so e, francamente, anche se lo sapessi non ve lo direi certo ora.

Andatevi a leggere il racconto: QUI!

Una voce alla radio

Una nota su Facebook di Gianni Priano, mi riporta ad una trasmissione radiofonica locale degli anni 80 e ad un racconto ad essa ispirato, Sventolando le nostre bandierine, scritto da Maurizio Puppo nel 1988 e pubblicato su Il babau n. 12 nel Febbraio del 1994.

Nel racconto Puppo ricorda alcuni tra i brani ascoltati in questa trasmissione condotta da Umberto, fra essi Le strade di notte di Giorgio Gaber.

Non può, ovviamente, mancare Mina

Quanto al racconto di Maurizio, credo vada ripubblicato perché parte significativa della sua recherce letteraria.

Sono certo di farvi cosa gradita. Lo trovate QUI!

 

Princeton 1949. Parallels 2?

Celebrazione per i 70 anni di Albert Einstein all’Institute for Advanced Study.

Da sinistra: H. P. Robertson, V. Spear (?), H. Weyl, K. Goedel, B. Valadier (?), A. Einstein, C. Campi (?), J. R. Oppenheimer, and G. M. Clemence.

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Come ormai reso palese da Parallels di Pietro Zunino esiste un numero indefinito di universi paralleli in tutto simili al nostro. Purtroppo la pubblicazione di questo testo seminale ha avuto come conseguenza l’incremento dei viaggi spazio temporali, generando alcune varianti che ci è difficile provare.

Così la foto, che ritrae alcune delle menti più rilevanti del XX secolo dell’universo parallelo 17, differisce dall’identica foto nel nostro universo per 3/9.

Da sinistra a destra.

Howard Percy Robertson (1903 – 1961) matematico, fisico e cosmologo statunitense, noto per i contributi relativi alla cosmologia fisica e al principio di incertezza.

Vincent Spear (1956 – ?) Ingegnere, musicista, scrittore, viaggiatore dimensionale, si vocifera sia stato figura centrale dell’universo descritto in Parallels, ma non ci è dato saperlo con certezza, e soprattutto non è certo se si tratti dello stesso Spear, di un tal XXX YYY o, come nella maggior parte degli altri universi, del premio nobel per la fisica Eugene Wigner, qui con la barba. Del resto si dice che Spear fosse considerevolmente più alto.

Hermann Klaus Hugo Weyl (1885 – 1955) matematico, fisico e filosofo tedesco.

Kurt Gödel (1906 – 1978) matematico, logico e filosofo austriaco naturalizzato statunitense, noto soprattutto per i suoi lavori sull’incompletezza delle teorie matematiche. Gödel è ritenuto uno dei più grandi logici di tutti i tempi.

Bergman Valadier (1961 – ?) anatomopèatologo. Si suppone che, come per Spear qualcosa non quadri, vista la data di nascita posteriore alla foto. Qualcuno ha suggerito si tratti di una variante del fisico I. I. Rabi, ma la cosa pare dubbia… E’ possibile sia qualcuno o qualcosa d’altro.

Albert Einstein (1879 – 1955) fisico e filosofo tedesco naturalizzato svizzero e statunitense. Oltre a essere uno dei più celebri fisici della storia della scienza, che mutò in maniera radicale il paradigma di interpretazione del mondo fisico, fu attivo in diversi altri ambiti, dalla filosofia alla politica, e per il suo apporto alla cultura in generale è considerato uno dei più importanti studiosi e pensatori del XX secolo. Elaborò la Teoria della Relatività Generale.

Coriolano Campi (1957 – ?) viaggiatore a ritroso, decostruzionista. L’identità ci è stata suggerita da alcune fonti discretamente informate. Altri sostengono si tratti di Carmen Michelle Rooca, mutaforma, sebbene l’opinione più diffusa, anche tra i suoi familiari, è che non si sappia chi sia. E’ comunque escluso si tratti del fisico atomico R. Ladenburg.

Julius Robert Oppenheimer (1904 – 1967) fisico. Diede importanti contributi nel campo della fisica moderna, in particolare alla meccanica quantistica, ma la sua fama è legata soprattutto alla costruzione della prima bomba atomica nell’ambito del progetto Manhattan. È stato inoltre il primo a capire l’effetto tunnel quantistico, ad avvicinarsi con le sue ricerche alla scoperta del positrone, a portare avanti la teoria sulle piogge di raggi cosmici e a verificare il collasso di grandi stelle causato dalla forza gravitazionale.

Gerald Maurice Clemence (1908 – 1974) astronomo americano.

Quanto alla nostra redazione, essa brancola nel buio: si tratta di una redazione letteraria, atta quindi a qualsiasi possibile tipo di viaggio e realtà, ma non particolarmente portata a gestire dati tangibili.

Ci auguriamo quindi che Pietro Zunino sveli l’arcano in Parallels 2, o in qualsiasi altra opera.

Per voi, se ci volete dare una mano, può essere che sfogliando il primo Parallels troviate degli indizi interessanti.

Da Princeton, intanto, ci hanno fatto pervenire la stessa foto scattata nel nostro universo. Boh!

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Parallels è edito da Edizioni Vallescrivia ed è reperibile online su ibs.it, Amazon o presso la Libreria Mondadori di Sestri Ponente.

 

 

Parallels

112 Mercer Street, Princeton, anno 1939, Albert Einstein e Robert Oppenheimer davanti ad un tablet ascoltano musica utilizzando la tecnologia Wi-fi.

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Deve trattarsi per forza di un fotomontaggio, l’immagine non è compatibile con quanto conosciamo di quel periodo: nel 1939 questi oggetti non esistevano!

Non in questo universo!

E se si trattasse di uno dei molteplici universi paralleli simili al nostro, ipotizzati nella teoria dell’universo inflazionario? Potremmo considerare la scena come plausibile?

Probabilmente sì.

A questo punto dovremmo porci altre domande: come sono giunti questi oggetti in un diverso spazio tempo? Chi li ha portati? Perché? In che modo hanno reagito i due scienziati dinnanzi a questi prodigi allora inimmaginabili? Quali altre meraviglie o segreti giungeranno a loro conoscenza? Ed ancora: si potranno ricaricare le batterie?

La curiosità cresce, è indiscutibile. L’ignoto è per tutti noi fonte d’interesse.

Il mondo alieno, o anche semplicemente “altro” è ad un passo da noi, forse in orbita geostazionaria o al di là di un wormhole.

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Spesso certa fantascienza fa di tutta l’erba un fascio, accumulando nozioni a casaccio, per trar dentro il lettore, Parallels è invece romanzo coerente sia da un punto di vista storico che scientifico. Si tratta di un’opera prima, è vero, ma è l’opera prima di un uomo maturo, Pietro Zunino, ingegnere elettronico ed insegnante, che nulla ha lasciato al caso, analizzando la congruità di ogni evento.

Nel frattempo la seconda guerra mondiale s’avvicina, un misterioso protagonista dopo Einstein ed Oppenheimer incontra anche Franklin Delano Roosevelt ed il lettore, facilitato dallo stile chiaro ed asciutto, divora le pagine una dopo l’altra.

Possibili scenari atomici si profilano all’orizzonte.

Qui mi fermo per non svelare troppo.

L’ho già accennato, si tratta di un libro che supera gli stretti confini della fantascienza, coniugando storia e scienza, in modo lineare, rigoroso ma anche accattivante. Pietro ci lascia con un finale aperto, spunti di riflessione e voglia di saperne di più.

Attendiamo il prossimo, speriamo non passino altri sessant’anni.

Parallels è edito da Edizioni Vallescrivia ed è reperibile online su ibs.it, Amazon o presso la Libreria Mondadori di Sestri Ponente.

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L’immagine rappresenta un ponte di Einstein-Rosen o cunicolo spazio-temporale, detto anche wormhole

Ed ora protagonista, autore e sottoscritto Vi invitano, in quasiasi universo siate, ad ascoltare la nostra colonna sonora comune

 

 

 

 

 

 

La Voce della Memoria

Esistono cose che non vanno dimenticate.

Esistono forze che spingono affinché ogni cosa sia dimenticata.

Dimenticando cosa siamo stati non possiamo riconoscere negli altri il nostro sguardo di un tempo.

Per ridare voce alla memoria ripubblichiamo una intervista a Nuto Revelli, scrittore, prima ufficiale dell’esercito italiano nella seconda guerra mondiale e poi partigiano.

Questa intervista-conversazione che Eugenio Fici eseguì per Il babau nel 1993 non è legata in modo diretto all’Olocausto, ma parla di quegli anni di un’umanità fratta e quindi disumana.

E’ una testimonianza e quindi un monito.

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