新的消息
Ultimo post dopo un lungo silenzio.
È un esperimento di serenità.
Si intitola 幸福
Post sottosopra ed ondivago che segue la cronologia del sentire e dell’esperienza anziché quella temporale.
Ostaia da-U Neo, Genova 14 Gennaio 2016
La morte (Jacques Brel*)
La morte mi attende come una vecchia fanciulla
All’appuntamento con la falce
Per meglio mietere il tempo che passa
La morte mi attende come una principessa
Al funerale della mia gioventù
Per meglio piangere il tempo che passa
La morte mi attende come una fata cattiva
Al rogo delle nostre nozze
Per meglio ridere del tempo che passa
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
È già lì che mi aspetta
Angelo o demone non importa
Davanti alla porta ci sei tu
La morte attende sotto il cuscino
Che dimentichi di svegliarmi
Per meglio congelare il tempo che passa
La morte attende che i miei amici
Vengano a trovarmi di notte
Per meglio raccontarci che il tempo passa
La morte mi attende tra le tue mani diafane
Che dovranno chiudermi le palpebre
Per meglio dire addio al tempo che passa
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
È già lì che mi aspetta
Angelo o demone non importa
Davanti alla porta ci sei tu
La morte mi attende alle ultime foglie
Dell’albero che sarà la mia bara
Per meglio inchiodare il tempo che passa
La morte mi attende tra i lillà
Che un becchino tirerà su di me
Per meglio far sbocciare il tempo che passa
La morte mi attende in un grande letto
Teso con le tele dell’oblio
Per meglio fermare il tempo che passa
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
È già lì che mi aspetta
Angelo o demone non importa
Davanti alla porta ci sei tu
Parigi, 1959
La Mort (Jacques Brel)
La mort m’attend comme une vieille fille
Au rendez-vous de la faucille
Pour mieux cueillir le temps qui passe
La mort m’attend comme une princesse
A l’enterrement de ma jeunesse
Pour mieux pleurer le temps qui passe
La mort m’attend comme Carabosse
A l’incendie de nos noces
Pour mieux rire du temps qui passe
Mais qu’y a-t-il derrière la porte
Et qui m’attend déjà
Ange ou démon qu’importe
Au devant de la porte il y a toi
La mort attend sous l’oreiller
Que j’oublie de me réveiller
Pour mieux glacer le temps qui passe
La mort attend que mes amis
Me viennent voir en pleine nuit
Pour mieux se dire que le temps passe
La mort m’attend dans tes mains claires
Qui devront fermer mes paupières
Pour mieux quitter le temps qui passe
Mais qu’y a-t-il derrière la porte
Et qui m’attend déjà
Ange ou démon qu’importe
Au devant de la porte il y a toi
La mort m’attend aux dernières feuilles
De l’arbre qui fera mon cercueil
Pour mieux clouer le temps qui passe
La mort m’attend dans les lilas
Qu’un fossoyeur lancera sur moi
Pour mieux fleurir le temps qui passe
La mort m’attend dans un grand lit
Tendu aux toiles de l’oubli
Pour mieux fermer le temps qui passe
Mais qu’y a-t-il derrière la porte
Et qui m’attend déjà
Ange ou démon qu’importe
Au devant de la porte il y a toi
Hammersmith Odeon, Londra, 3 Settembre 1973
My Death (Jacques Brel / Mort Schuman)
My death waits
like an old rouè
So confident I’ll go his way
Whistle to him and the passing time
My death waits
like a bible truth
At the funeral of my youth
Weep loud for that
and the passing time
My death waits
like a witch at night
As surely as our love is bright
Let’s not think about the passing time
But what ever lies behind the door
There is nothing much to do
Angel or devil, I don’t care
For in front of that door, there is you
My death waits
like a beggar blind
Who sees the world
through an unlit mind
Throw him a dime
for the passing time
My death waits there
between your thighs
Your cool fingers
will close my eyes
Let’s not think of that
and the passing time
My death waits
to allow my friends
A few good times before it ends
So let’s drink to that
and the passing time
But what ever lies behind the door
There is nothing much to do
Angel or devil, I don’t care
For in front of that door, there is you
My death waits there among the leaves
In magicians’ mysterious sleeves
Rabbits and dogs and the passing time
My death waits there among the flowers
Where the blackest shadow,
blackest shadow cowers
Let’s pick lilacs for the passing time
My death waits there
in a double bed
Sails of oblivion at my head
So pull up the sheets
against the passing time
But what ever lies behind the door
There is nothing much to do
Angel or devil, I don’t care
For in front of that door, there is you
La traduzione del cantautore americano Mort Shuman, resa famosa da David Bowie presenta rispetto all’originale in francese alcune differenze significative che potete apprezzare nel confronto tra le traduzioni italiane delle due versioni:
La Mia Morte (Jacques Brel / Mort Schuman)
La mia morte aspetta
come un vecchio dissoluto
Così sicuro che gli andrò incontro
Fischia a lui e al passare del tempo
La mia morte aspetta
come una verità biblica
Al funerale della mia giovinezza
Piange forte per questo
e per il passare del tempo
La mia morte aspetta
come una strega nella notte
Certo com’è brillante il nostro amore
Non pensiamo al passare del tempo
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
Non c’è molto da fare
Angelo o diavolo, non m’importa
Perché di fronte a quella porta ci sei tu
La mia morte aspetta
come un mendicante cieco
Che vede il mondo
attraverso una mente spenta
Tiragli una moneta
per il passare del tempo
La mia morte aspetta lì,
in mezzo alle tue cosce
Le tue dita fredde
chiuderanno i miei occhi
Non pensiamo a questo
e al tempo che passa
La mia morte aspetta
per consentire ai miei amici
Di divertirsi un po’ prima della fine
Così brindiamo a questo
e al passare del tempo
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
Non c’è molto da fare
Angelo o diavolo, non m’importa
Perché di fronte a quella porta ci sei tu
La mia morte aspetta lì fra le foglie
Fra le maniche misteriose dei maghi
Conigli e cani e il passare del tempo
La mia morte aspetta lì fra i fiori
Dove l’ombra più nera,
l’ombra più nera si ritrae
Raccogliamo i lillà per il passare del tempo
La mia morte aspetta là
in un letto matrimoniale
Con vele d’oblio nella mia testa
Così tiriamo su le lenzuola
contro il passare del tempo
Ma qualunque cosa ci sia dietro la porta
Non c’è molto da fare
Angelo o diavolo, non m’importa
Perché di fronte a quella porta ci sei tu
La versione soprastante, presente nell’ultimo concerto di Ziggy Stardust and the Spiders of Mars, fu pubblicata solo dieci anni dopo, nel 1983, in Ziggy Stardust – The Motion Picture, colonna sonora di quei concerti.
Come spesso nella sua carriera, Bowie ha fornito diverse reinterpretazioni delle sue proposte.
Fra esse vi propongo questa registrazione del 1995.
*La traduzione italiana di La Mort di Brel mi è stata regalata al volo da Letizia Merello, poiché non ne esistevano di accettabili, in occasione del Reading Eros e Thanatos. Io vi ho poi apportato minime modifiche.
Smessa l’immagine pubblica, al di là del calar del sole, si rivelano verità che solo le luci soffuse della notte possono ascoltare. Ksenja Laginja svela i propri assedi ed attese quotidiani, il sentire misurato in distanze corporee, racchiuso negli oggetti comuni od in immagini inconsuete, altre volte confinato nel buio di angoli e tasche.
Asciutti, precisi, a tratti taglienti, eppure simbolici e quindi fortemente evocativi, i suoi versi ci arrivano improvvisi come un pugno e rassicuranti come un volto noto: ci sembra subito di comprenderli, di riconoscerci, tuttavia, voltata la pagina, si ha la netta sensazione di aver lasciato qualcosa indietro, di voler rileggere.
Ricco di riferimenti letterari e piani di lettura, Praticare la Notte è un libro complesso eppure diretto, bello, perché porto col cuore di un’anima pronta.
Se amate la poesia non potete non leggerlo e, ovviamente, comprarlo.
Acqua, sale, farina 00, olio d’oliva, lievito di birra, il tutto cosparso di farina di polenta direttamente sulla piastra.
Ingredienti semplici a formare una tra le più magiche focacce salate liguri: la focaccia di Priano a Genova Voltri.
Ed è con il breve racconto biografico Fugassa de Utri* che iniziamo una sicuramente proficua e spero continuativa collaborazione con Gianni Priano, poeta e narratore di grande umanità e spessore.
Non c’è nulla di Gianni che possa dire meglio delle sue stesse parole, così, come già feci presentando alcune sue poesie, taglio corto e vi rimando direttamente al testo: qui.
Prima di congedarmi, una breve annotazione: vi ricordo che è possibile ricercare gli autori presenti sul sito tramite la funzione di ricerca, cosa che caldeggio vivamente per Priano, presente nel sito con poesia in lingua, poesia in dialetto molarese ed ora con scritti in prosa.
Quanto alla focaccia di Priano, posso ben dire che negli anni del liceo mi formò ben più di Kant e Pascal.
* alcuni preferiscono la grafia “fügassa”.
Nuovo capitolo delle Lingue dell’altra Italia, viaggio nelle culture del nostro paese.
Ospitiamo alcune poesie tratte dalla raccolta inedita Pani e mantu (Pane e mantello) di Francesco Cento, scultore e poeta calabrese residente a Genova.
“Il tema principale” – nelle stesse parole di Francesco – “è il viaggio, la lontananza, il recupero delle persone care e dei luoghi dove siamo cresciuti attraverso la memoria. Nella lingua natia.”
I versi, aspri, esprimono in modo convincente un mondo senza sconti, ma dal grande fascino.
Al solito preferisco leggiate i versi piuttosto che i miei commenti, li trovate QUI, insieme alle foto di alcune sculture dell’autore.
Poiché la selezione attuale è tutt’altro che esaustiva, seguirà una seconda parte.
Chi conosce Formaldeide e Bobby Soul sa che frequentano mondi prossimi, ma paralleli.
La realtà di Formaldeide (Bettina Banchini, voce recitante, e Lorenzo Guacciolo, chitarra emotiva) è quella di una musicopoesia spesso confessionale, dai toni acidi e sferzanti, ironici e disperati, in un gioco di estremi tenuti assieme da sei corde incredibili.
Bobby Soul (accompagnato da Alessio Caorsi alla chitarra rovente) è un cantattore dalla voce nerissima e dal sorriso rassicurante, con un repertorio soul, funk, blues.
L’associazione pare inedita e coraggiosa, la distanza incolmabile.
Poi, si apre il sipario e Formaldeide si manifesta: è un universo femminile messo a nudo, fatto di pelle, sogni e qualche taglio, nella tensione ondivaga ed onirica creata dalla sinergia avvolgente di voce e chitarra.
In questo universo, sulle ali di un’eco, piomba la calda e terrena energia maschile di Bobby ed Alessio: You do something to me.
Ogni dubbio cade, il palco non mente: restituisce ciò che dai, supera schemi, classificazioni, preconcetti.
Si tratta della più antica ed affascinante storia di sempre: lui e lei si inseguono, si stuzzicano, entrano in contatto profondo ed inevitabilmente non si comprendono.
In questa schermaglia eterna interviene Viviane Ciampi, nel suo francese delicato ed affascinante, cantando l’irridente gioia di vivere di Boris Vian, per ricordarci che viviamo un destino comune e mortale.
Potrebbe esser un buon finale, ma è lo stesso Vian (declamato prima in originale da Viviane, poi in traduzione da Bettina) a riportarci nel nostro mondo imperfetto, finito e romantico, in cui uomo e donna cercano di fare il proprio meglio, aree creature del vento che si attaccano l’un l’altra per non disperdersi…
Il dialogo a distanza riprende su un piano più alto e consapevole, e le voci lasciano il campo alle chitarre, alla ricerca di una lingua comune, in un fraseggio prima accennato poi fitto, caldo ed avvolgente, in cui gli stili si fondono in un altro atto d’amore, conducendoci altrove. Vorremmo non finisse mai…
“Dormi, dormi adesso dentro la mia pelle” dice lei.
“Questo mio mondo” – risponde lui, rassicurante – “ma non sarebbe nulla senza una donna”.
Sembrerebbe tutto ricomposto nel canonico lieto fine, ma non è così.
Bettina legge “Per il mio amante, che torna dalla moglie” di Anne Sexton e dissolve l’acquarello.
Protagonisti convincentissimi… Quando lo ridanno?
Seconda parte delle poesie in dialetto molarese di Gianni Priano a cui ho dato il titolo arbitrario L’ultimo giro dei pipistrelli.
In questa seconda parte i temi si diversificano, percorrendo strade impensabili per la poesia dialettale tradizionale.
Impensabili e spiazzanti, come ogni manifestazione di un microcosmo che si fa universo.
Leggetele: QUI.
Gianni Priano ci regala 9 sue poesie nel dialetto di Molare, paese dell’alessandrino sulla ex strada statale del Turchino da Ovada ad Acqui Terme per un nuovo capitolo delle Lingue dell’Altra Italia.
Sono felice di questo dono, a lungo cercato, perché se la differenza, linguistica e non solo, è ricchezza, i dialetti sono forzieri stracolmi di espressioni, modi di dire e pensare che non devono andar perduti.
Troverete in questa prima parte delle poesie “molaresi” di Gianni Priano, a cui ho dato il titolo “Ra differàinza” (La differenza) persone, colori e suoni di uno dei presenti possibili, alternativi a quello attuale globalizzato, un presente radicato in un’antica tradizione popolare, portato oltre i propri ristretti confini territoriali da una penna profonda e leggerissima al tempo stesso.
Non vi tratterrò oltre, perché è impossibile farlo… io stesso non vedo l’ora di rileggerle!
Ricordo per i pochi rimasti che Gianni Priano è presente in questo sito anche con alcune poesie in lingua italiana, pubblicate sul numero 6 de Il babau.
Post musical letterario del mercoledì a cavallo di 6 secoli.
Ci sono tanti modi di raccontare una storia quanti, e forse più, ce ne sono di affrontare la realtà.
Quando poi la storia è affidata alla tradizione orale ed ai cantastorie può succedere qualsiasi cosa. Così di The Unquiet Grave, ballata inglese che sembra risalire al 1400, esistono quasi una ventina di versioni testuali non sempre associate alla stessa melodia. Il già altrove citato Francis J. Child nel 1868 la cataloga al nr. 78 delle Child Ballads, mostrandone dieci varianti.
Il tema, notissimo nelle ballate popolari, è quello dell’inconsolabile dolore di un giovane per la morte dell’amata. Le varie versioni presentano differenze testuali, melodiche ed anche concettuali.
La prima che vi propongo è un arrangiamento del 1973 dei Gryphon, nell’omonimo disco di esordio. Si tratta di una variante suggestiva della 78E che utilizza la musica di un’altra ballata del 1600: Dives and Lazarus (Child 56).
Cold blows the wind to my true love and gently falls the rain.
I only had but one true love, and in green woods she lies slain.
I’ll do as much for my true love as any young man may –
I’ll sit and mourn along the grave for a twelve-month and a day.
When the twelve-month and a day was done, the ghost began to speak:
“Why sittest thou along my grave and will not let me sleep?”
There’s one thing that I want, sweetheart, there’s one thing that I crave,
And that is a kiss from your lily-white lips. Then I’ll go from your grave.
“My lips they are as cold as clay, my breath smells earthy strong,
And if you kiss my lily-white lips, your days they won’t be long.
Go fetch me water from the desert, and blood from out of stone;
Go fetch me milk from a fair maid’s breast that never a young man has known.”
‘Twas down in Cupid’s Garden, where you and I would walk,
The fairest flower that ever I saw is withered to a stalk.
The stalk is withered and dry sweetheart, the flower will ne’er return,
And since I lost my one true love, what can I do but mourn?
When shall we meet again, sweetheart? When shall we meet again?
“Ere the oaken leaves that fall from the tree are green and spring up again.”
Più lineare la versione catalogata 78A, in cui la defunta consiglia all’amato di lasciarla e di vivere la propria esistenza. A dar voce a questa variante, con melodia celtica, Luke Kelly dei Dubliners,pubblicata nel 1975, nell’album Now.
‘The wind doth blow today, my love,
And a few small drops of rain;
I never had but one true-love,
In cold grave she was lain.
‘I’ll do as much for my true-love
As any young man may;
I’ll sit and mourn all at her grave
For a twelvemonth and a day.’
The twelvemonth and a day being up,
The dead began to speak:
‘Oh who sits weeping on my grave,
And will not let me sleep?’
‘Tis I, my love, sits on your grave,
And will not let you sleep;
For I crave one kiss of your clay-cold lips,
And that is all I seek.’
‘You crave one kiss of my clay-cold lips;
But my breath smells earthy strong;
If you have one kiss of my clay-cold lips,
Your time will not be long.
‘Tis down in yonder garden green,
Love, where we used to walk,
The finest flower that ere was seen
Is withered to a stalk.
‘The stalk is withered dry, my love,
So will our hearts decay;
So make yourself content, my love,
Till God calls you away.’
Suggestiva, declinata al femminile, dalla parte del fantasma, la versione proposta da Kate Rusby nel 1999, nell’album Sleepless.
Vagando per youtube ed il web avrete la possibilità di ascoltare proposte note, come quella di Joan Baez, che utilizza la versione testuale 78E (la stessa dei Gryphon), e meno note, come quella del gruppo Darkwave Helium Vola, che dei Gryphon arrangia la melodia. Questa melodia, come si è detto, appartiene a Dives and Lazarus, trasposizione in forma di ballata della parabola Il ricco e Lazzaro.
Giunto a Dives and Lazarus, non posso che proporvi Five Variants of ‘Dives and Lazarus’ composte nel 1939 da Ralph Vaughan Williams e dirette da Sir Neville Marriner.
Forse Vaughan Williams non sarà un innovatore, probabilmente apparirà banale, ma….
Per te scalerei le Alpi e l’Himalàya
Sfigurar vorrei la tua risata gaia
di spasmi d’amore, candido mio giglio,
d’ogni fiore più bella, sogno di rosa,
profumo di pesco, canto di mimosa!
Mi vuoi? “Ti voglio!” Pregusto il giaciglio!
Mi dici: “Ti penso, t’attendo, ti bramo!”
Anch’io ti bramo, e azzardo un “ti amo!”
“Vieni, dai vieni, sto al numero venti!”
Venti di passione, tripudio, bollore!
“Venti, settimo piano, senz’ascensore!”
Sette! Oh Giglio, Oh Rosa, oh Mimosa!
Sette?! Sette son troppi! No, non è cosa!
C. M. Marenco (2015)
Alberto Repetti, La Jella Addormentata nel Bosco (1993)