Post musical-letterario del mercoledì che pone una domanda, forse non esistenziale, ma alla quale avrei piacere rispondeste, qui od ovunque.
Potrebbe nascerne una discussione interessante, probabilmente infinita e senza vincitori, ma poco importa, il concetto di vittoria a tutti i costi appartiene ad una cultura che non amo.
Per rendere le cose più facili porrò due domande, una di carattere generale ed una particolarissima, legata alla proposta musicale.
Domanda di carattere generale: può la musica aggiunger qualcosa ai versi?
Domanda particolare: può Gilmour migliorare Shakespeare?
Quest’ultima sembra una domanda assurda?
Procediamo con ordine: ascoltiamo innanzitutto uno dei miei preferiti sonetti shakespeariani, il 18, nella lettura “lineare” di Harriet Walter:
A confronto la versione musicata di David Gilmour
Attendo le vostre opinioni e per confondervi un poco, posto una versione non molto nota musicata da Brian Ferry
Accostamenti al limite del blasfemo, operazioni commerciali, sentiti tributi, opere d’arte?
A completare la proposta, il testo originale, edito nel 1609, nel tipico pentametro giambico shakespeariano:
Shall I compare thee to a summer’s day?
Thou art more lovely and more temperate:
Rough winds do shake the darling buds of May,
And summer’s lease hath all too short a date;
Sometime too hot the eye of heaven shines,
And often is his gold complexion dimm’d;
And every fair from fair sometime declines,
By chance or nature’s changing course untrimm’d;
But thy eternal summer shall not fade,
Nor lose possession of that fair thou ow’st;
Nor shall Death brag thou wander’st in his shade,
When in eternal lines to time thou grow’st:
So long as men can breathe or eyes can see,
So long lives this, and this gives life to thee.
e la storica traduzione italiana di Mario Praz (1966)
Ti comparerò dunque a giornata di estate?
Tu sei ben più leggiadro e meglio temperato:
Ruvidi venti sferzano i soavi boccioli di maggio
E il termine di estate troppo ha breve durata;
Troppo ardente talvolta splende l’occhio del cielo,
E sovente velato è il suo aureo sembiante,
E ogni bellezza alla fine decade dal suo stato,
Spoglia dal caso, o dal mutevole corso di natura:
Ma la sua eterna estate non potrà mai svanire
Né perdere il possesso delle tue bellezze,
Né la Morte vantarsi di averti nell’ombra sua,
Poiché tu crescerai nel tempo in versi eterni.
Sin che respireranno uomini, e occhi vedranno
Di altrettanto vivranno queste rime,
e daranno vita a te.
Le domande ingenue sono le domande migliori non perché sgombrino il campo dagli impliciti
ma perché ne contengono di molto chiari… e forse in numero minore.
La musica non aggiunge nulla alla poesia: perché, in senso stretto, alla poesia – al testo poetico – non si può aggiungere nulla. La poesia possiede la sua musica che è quella della parola, della lingua. Nel momento in cui il verso è cantato diventa semplicemente un altro oggetto estetico, con i propri tratti caratteristici. L’elaborazione musicale deve scegliere una via interpretativa del testo poetico: aggiunge e/o toglie, e con questa operazione costruisce un altro oggetto estetico.
Ad una poesia la musica può togliere, appunto, una parte dell’indefinitezza che pertiene al codice verbale e, al limite, restituirgliene altra, che pertiene al codice della musica.
Una qualunque interpretazione di un ‘programma performativo’, sia uno spartito musicale che uno verbale (come può considerarsi un testo poetico) o misto, non migliora il programma che esegue: lo performa, lo mette in atto. Il confronto è quindi da effettuare tra le diverse esecuzioni.
Gilmour non migliora Shakespeare, allo stesso modo in cui non lo peggiora un qualunque dicitore incapace.
La domanda è stata volutamente posta in modo ingenuo, al fine di poter essere generalmente compresa e di conseguenza stimolare il più ampio numero di interventi possibili.
Ciò è avvenuto in modo diffuso su Facebook e non nel Blog, forse per l’atteggiamento più “rilassato” del social network.
Purtroppo, me ne rendo conto solo ora, leggendo le considerazioni ineccepibili di Alberto, il carattere di libera approssimazione delle due domande non ha portato i risultati sperati.
E’ un mio errore aver usato i termini “aggiungere” e “migliorare” riferiti all’oggetto testo: avrei forse dovuto parlare di migliorata (o meno) percezione del testo da parte del pubblico e di conseguente accresciuta (o diminuita) fortuna.
Questo, non tanto per aver una risposta definitiva, che non esiste, ma per dar a ciascuno dignità di risposta.
Alberto qui è stato il primo, mi auguro anche qui arrivino altre opinioni.