Riviste anni ’90: L’altro spazio della nuova narrativa – di Piersandro Pallavicini

(Quello che segue è un’estratto dell’interessantissimo Riviste anni ’90: l’altro spazio della nuova narrativa di Piersandro PallaviciniFernandel Editore, Ravenna, 1999.

Il libro è stato poi pubblicato come e-book nel 2000 da liberliber.it e lo trovate a questo indirizzo http://bit.ly/1uRToT4

Il testo qui selezionato parla del clima letterario che si respirava in quegli anni, e vengono quindi citate altre riviste storiche del periodo quali Il Maltese, Il Paradiso degli Orchi, Ellin Selae.

Spero che la brevità dell’estratto vi lasci con il desiderio di saperne di più del babau, delle altre riviste e naturalmente di Piersandro Pallavicini e gli editori Fernandel e liberliber, che ringrazio.)

piersandro pallavicini - riviste

(…)

…uno scrittore qualunque (1992-1996)…

Di «Cuore» non ne perdi un numero. Lo aspetti in edicola il mercoledì mattina e, settimana
dopo settimana, leggi da cima a fondo, senza saltare una riga, quelle pagine verdine dove ti senti a
casa…
È nella primavera del 1992 che nella rubrica degli annunci riservati alle “iniziative di resistenza umana” trovi poche righe che ti parlano di una nuova rivista di narrativa. Si chiama «Il M  altese» e, per pochi biglietti da mille, ne potrai avere una copia. L’invio dei tuoi materiali – leggi, un po’ diffidente – la tua collaborazione, sono sollecitati. Ma sulle riviste “per giovani” che prendi fin da ragazzino – su «Rockerilla», su «Rockstar» – ne hai già viste di piccole case editrici che chiedono poesie, racconti, romanzi. E, tu lo sai, non si tratta d’altro che di mere trappole per farti sborsare qualche soldo, di attività commerciali disposte a pubblicare qualunque cosa, purché a pagamento, facendo leva su un tipo di vanità, su un tipo di ingenuità che non sono tue. Sì, sei diffidente allora, e anche se credi che le pagine di «Cuore» – il loro spirito, l’onestà che vi si respira – siano una garanzia di sincerità, una garanzia di passione pura per chi decida di affidarvi un po’ di pubblicità per le proprie iniziative, a scrivere a quella rivista ci pensi per qualche giorno.
Ma poi non ne fai nulla.
È una specie di orgoglio, il tuo, nei confronti di ciò che scrivi, o magari una specie di snobismo,
e confrontarti con qualcosa che ti ritrovi a immaginare forse volenteroso, ma amatoriale, ti riesce
difficile. O ti fa un po’ di paura il pensiero che anche qui, persino qui, come ti è già successo con le
belle riviste trovate in libreria, potresti venire niente più che ignorato. Sono quest’orgoglio e questa paura, allora, che ti fanno aspettare un’altra settimana e ignorare un altro annuncio che, su «Cuore», ti parla – quasi con le stesse parole del primo – di una rivista che si chiama «Ellin
Selae».
Ma poi quando, tempo nemmeno un mese, arriva una terza rivista che pubblica e cerca
narrativa, «Il Babau», a proporsi in quelle stesse righe di «Cuore», intuisci che forse sta
succedendo qualcosa, che forse stai perdendo qualcosa, e allora scrivi, mandi le poche lire
domandate, e torni a cercare i vecchi numeri con gli altri annunci e anche a quegli indirizzi scrivi,
mettendo a tacere il tuo orgoglio e le tue paure col pensiero che, in fondo, costa pochissimo dare
nient’altro che un’occhiata.
Bastano poche settimane, e ti ritroverai per le mani tre riviste eterogenee nell’aspetto e nei
contenuti. Potranno essere fogli fotocopiati e spillati (è il caso de «Il Maltese») o una piccola
rivista-libro un poco pretenziosa come «Ellin Selae», o ancora un bel “in ottavo” dalla grafica
sapiente e ben curata come «Il Babau». Quello che vi potrai leggere toccherà gli estremi
dell’esoterico, del mistico, della letteratura-letteratura come illuminazione destinata non certo ai
più, oppure si addentrerà in quel raccontare dei propri giorni, del proprio soffrire o delle proprie
quotidiane passioni che è esattamente quanto preferisci leggere. Che è esattamente quel che ti
ritrovi a scrivere.
Ma non sarà solo questo che basterà a convincerti. In quelle pagine, soprattutto, troverai
entusiasmo e disponibilità verso chi scrive. Troverai il senso di un pubblicare se stessi e gli altri
come frutto di una passione, di un sentirsi stretti e soffocati e senza spazi proprio come anche a te
succede. Troverai il rispetto per l’identità di ogni singolo collaboratore, e il tentativo onesto e
modesto di elevare l’estensore di ogni singolo racconto alla dignità di scrittore. Troverai,
insomma, in quelle pagine, lo statuto che hai imparato ad amare e senti come familiare della
fanzine… ma liberato dalle approssimazioni, liberato dalla protervia e dalla voce altissima dei
fanzinari. Troverai voglia di far bene e voglia di dare una mano.
E i racconti che vi leggerai non ti sembreranno né sensazionali né privi di dignità. Ti sembreranno solo buoni, forse, e potrai provare invidia per alcuni – che senti scritti come ancora non sai fare – e soddisfazione per alcuni altri, che ti sembreranno da poco in confronto alle tue cose. Ti convincerai, allora, che queste riviste ti possono ospitare, e che qui, anzi, vale la pena di essere ospitati. Che con queste testate, con queste redazioni, ci si può confrontare alla pari e che, sulle loro pagine, si può diventare parte di un piccolo esercito di piccoli scrittori che ti è fino ad ora rimasto sconosciuto, ma con il quale senti di condividere qualcosa.
Dunque, spedisci i tuoi nuovissimi racconti a una o a tutte queste nuove riviste-fanzine. Aspetti
altre due, tre settimane, aspetti un mese. E poi ti arriva una lettera, una risposta non formale ma
vera, oppure, quando l’ansia di sapere non la riesci più a sopportare, sei tu a telefonare ai numeri
che – senza paura di invadenze, di privacy violate – i redattori di ciascuna rivista hanno voluto
stampare sui propri colophon.
E che succeda per lettera o via cavo, quello che ottieni – offerto con una gentilezza e una modestia in cui non speravi – è un giudizio sincero su ciò che hai spedito. Un commento sui tuoi materiali, che non è né affrettato né infastidito, ma partecipato, argomentato, che ti fa scoprire in pochi minuti di conversazione o in poche righe i difetti, nei tuoi racconti, che non hai mai voluto riconoscere, o certi pregi, certe brillantezze che nemmeno tu hai saputo scoprire. Allora, può essere che ti si proponga la pubblicazione di uno di questi tuoi scritti, o che te ne si chiedano di nuovi – magari solo più corti, magari più adatti al taglio della rivista. O, ancora, che ti si
suggerisca di rivedere radicalmente la tua tecnica, i tuoi temi. E certamente, in ogni caso, da
questo contatto ne esci con una dignità consolidata, con una consapevolezza che ancora non
possedevi, con una voglia e una volontà accresciute, e nuove armi, insomma, nuove munizioni per
l’esercizio di quel difficile mestiere, per quell’autentico corpo a corpo con se stessi che è la
scrittura.
Poi, se appartieni alla schiera nemmeno troppo esigua dei più fortunati, una soddisfazione
indicibile te la senti piovere addosso quando – solo pochi mesi più tardi – potrai correre in libreria
e prendere una copia del nuovissimo numero di una certa rivista, prima che ti arrivi a casa quella
che ti spetta da abbonato. Una soddisfazione che è solo per pochissimo da egoista, che ha solo in
piccola parte a che vedere con la tua vanità, e che ti investe. Ti investe lì, davanti allo scaffale, in
mezzo ai libri dove così tanto vorresti (presto o tardi) vedere sistemati anche i tuoi, mentre sfogli
febbrilmente le pagine di quella certa pubblicazione e trovi stampato un tuo racconto, trovi
stampato il tuo nome.
Mentre, finalmente, ti senti davvero autorizzato a pensarti “scrittore”.

Le prime, immaginifiche “narra-zine”

Da quel certo humus, da quella certa formazione di letture, frequentazioni e (cinematografiche)
visioni, tra il 1990 e il 1992 ecco dunque venir fuori un piccolo nucleo di riviste-fanzine dedicate
alla narrativa “esordiente”. Si chiamavano «Il Maltese», «Il Babau», «Ellin Selae», «Il Paradiso
degli Orchi»: l’idea di “raggiungibilità dal basso” della letteratura aveva dato i suoi primi frutti,
aveva generato le prime, un poco incerte pratiche, utilizzando lo strumento di un serio fai-da-te.
Si trattava, per queste primissime testate, di prodotti realizzati da piccoli gruppi di redattori,
spesso mossi – o gestiti, se si preferisce – da un’unica persona, che si accontentava di farsi “dare
una mano” da qualche amico. A un primo sguardo, l’origine fanzinara era in un paio di casi ancora
ben riconoscibile: «Il Maltese» e «Il Paradiso degli Orchi» si presentavano in versione pila-di-A4-
fotocopiata-e-spillata, con i testi che sembravano essere stati ribattuti da una vecchia Olivetti né
elettrica né passata attraverso una buona manutenzione. La grafica, poi, era sporca e approssimativa, anche se, ad un riesame a posteriori, appare chiaro come questo non derivasse da alcun preciso intento politico o da chissà quale corrispondenza forma-contenuto di matrice
anarcoide o post-punk: si trattava nient’altro che di inesperienza e di inadeguatezza dei mezzi a
disposizione, dovuta certo alla giovane età di chi metteva insieme quei fogli e non poteva fare molto di più.
Per quelle due riviste, l’involontario coté ribellistico si fermava comunque lì. E altra cura per
l’estetica, altra attenzione per la grafica si scopriva se ci si ritrovava invece per le mani «Ellin
Selae» o «Il Babau» che, forse a causa del diverso dato anagrafico delle redazioni, già più mature, si presentarono pressoché da subito realizzate in un più appropriato formato-rivista, spillate al centro, con un’autentica copertina e graficamente studiate, iconograficamente ricercate, pulite, e dunque, in una parola, già ad un primo impatto professionali.

Il canale giusto

Per queste primissime testate la distribuzione fu, all’inizio, riservata al passaggio di mano in
mano tra amici, all’invio postale o, tuttalpiù, al contovendita presso qualche libreria locale e amica.
Giocoforza, la diffusione non poteva essere che limitata. Presto, tuttavia, grazie all’uscita di alcuni
stringati annunci di mera “esistenza in vita” (ravvivati da sollecitazioni di invio di materiali)
comparsi sulle pagine giuste per quel certo spirito e per quella certa formazione libresco-culturale – le pagine di «Cuore» – arrivò qualcosa che si potrebbe chiamare svolta: passando attraverso un
canale adatto, per quanto minimo e ristretto, la diffusione di queste riviste ebbe un deciso salto in
avanti, un allargamento di giro, subito supportato dal consolidato meccanismo del consiglio ad
amici e, attraverso quelli, ad amici di amici. E bastò aspettare poco, allora, bastò forse un altro
anno, per scoprire, intorno al 1993, che le stesse riviste cominciavano ad essere distribuite in tutta
Italia nelle librerie che possedevano una sezione dedicata. Attraverso «Cuore», insomma, queste
prime riviste avevano gettato un segnale in un sommerso che sembrava non aspettare altro. In un
sommerso che reagì immediatamente e volentieri, riconoscendo, nelle pagine cui si ritrovava a dare un’occhiata, quella serietà venata di autoironia, quell’onesta e umile voglia di far bene, scevra di ogni altezzosità, che molti di quelli che allora provavano a confrontarsi con la scrittura andavano cercando e non potevano trovare altrove.

(…)

Il babau

periodicità: bimestrale
anno d’inizio pubblicazione: 1991
numero attualmente in distribuzione: la rivista ha sospeso le pubblicazioni (ma forse non per
sempre…)
(…)
Testata tra le primissime, organizzata con grande gusto per la grafica (grazie alle belle illustrazioni di Alberto Repetti), tendente ad una certa letterarietà, o meglio: dotata di un taglio più intellettuale che non on the road. In formato A4, copertina in cartoncino e stampa ben curata, dà (dava?) ampio spazio alle opere firmate dal nucleo della redazione, come ampio è (era?) lo spazio lasciato alla poesia. Poi, alcune pagine riservate al fumetto (firmate da Repetti) e infine qualche intervista molto “su” (Dario Fo, Peter Greenaway, Paolo Poli, Giorgio Gaber), qualche intervento critico piuttosto serioso e rarissime recensioni.
Significativamente, le uscite de «Il Babau» sono state regolari (prima bimestrali, poi trimestrali)
fino a tutta la prima metà degli anni ’90, per poi diradarsi e mettersi in uno stato di (aerea?)
sospensione proprio quando il fenomeno della narrativa giovane italiana esplodeva… Quasi per
pudore, quasi a ritrarsi da una scena dove per le raffinatezze oniriche e per la realtà raccontata in
punta di penna – che tanto alla redazione de «Il Babau» dovevano piacere – non c’era più posto.
Una strana e affascinante rivista, insomma, dove le sbandate verso un esoterismo pericoloso sono
sempre state evitate grazie a una elevata dose di modestia, professionalità e ironia. Finendo così per offrire una scelta di racconti “a metà strada” che oggi, sul finire dei ’90, potrebbero essere tra i più commerciabili.

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