Pensieri sui dialetti di Achille Serrao (Il babau n.11)

“… i dialetti rappresentano uno dei due versi di un’unica medaglia: la medaglia è naturalmente il patrimonio linguistico del nostro paese… Che il dialetto, lingua orale e corale, sia la vera lingua degli italiani, vantando anche una storica precedenza nell’uso e nell’espressività rispetto alla lingua comune, è fuor di dubbio. L’italiano è venuto dopo, imparato nelle scuole, dove il discente entrava con il proprio radicato dialetto. L’effetto, nel tempo: ad una lingua orale, corale, viene sovrastrutturandosi una lingua letteraria che contribuisce nel segno e nel nome della comune comprensione-comunicazione linguistica, a ridurre e fuorviare lo spessore semantico, la ricchezza lessicale del dialetto, a spezzarne alla lunga il legame con l’humus di cui è evidenza verbale…

Conoscere  il proprio dialetto è conoscere la propria storia, e la propria storia profonda, con tutte le implicazioni connesse a una profondità socio-antropologica, terrestre…

Il lettore di poesia dialettale sconta le difficoltà di comprensione-interpretazione fonica e di significato dei vari dialetti. Ma il lettore affronta difficoltà maggiori, quando legge in lingua originale un Majakovskij, e non conosce il russo, un Lorca, e non conosce il castigliano… ricorre alla traduzione. E da questa, risalendo al testo, cerca di coglierne il senso, i sensi multipli.”

(da un’intervista rilasciata al quotidiano Roma – 6 gennaio 1993)

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