ACCADDE IN UNA PIAZZA
Un giorno d’estate una ragazza di nome Priscilla bevve un sorso d’acqua alla fontana di una piazza.
“E’ molto strano -pensò Priscilla dopo aver bevuto- vedo una bicicletta che va da sola”.
Subito fece notare la cosa ad un passante, il quale disse:
“Io non vedo niente. Forse sarà il caldo, signorina, che le gioca brutti scherzi. A proposito, ho una sete… Qui c’è una fontana, berrò un sorso d’acqua”.
Il passante bevve il sorso d’acqua e pensò:
“E’ straordinario: vedo una casa che cammina con due zampe di gallina”.
Quindi fece notare la cosa a tutti i presenti nella piazza.
“Ma cosa dice, lei è pazzo!”-disse uno; e una signora: “Beva meno, quando va al bar!”.
A sentire queste ultime parole, tutti si avvicinarono alla fontana per bere, assetati a causa del gran caldo.
Dopo aver bevuto c’era chi vedeva una finestra piangere, chi un gatto che faceva le uova, chi un sasso che danzava e così via: ognuno assisteva a qualcosa di eccezionale.
Ma dopo alcuni minuti queste visioni svanirono e le persone tornarono tutte alle loro occupazioni senza ricordare più nulla.
Solo Priscilla ricordava e mentre i suoi occhi vedevano la piazza piena di gente che andava e veniva, rimase a pensare, seduta sul bordo della fontana.
CERCA DI VOLARE!
Marina e Rosanna erano appena uscite dalla porta di un grattacielo di venti piani. Erano andate a trovare la mamma di Marina che lavora in un ufficio all’ultimo piano.
-Proprio oggi si doveva guastare l’ascensore!- esclamò Marina.
-Accipicchia, quanti scalini abbiamo fatto? Io ho perso il conto!- disse Rosanna.
-A proposito di conti, mi sono accorta adesso che ho dimenticato su dalla mamma la mia calcolatrice.
-Devi tornare a prenderla; sai che ci serve, oggi, per fare i compiti.
-Oh, no, ancora tutte quelle scale- si disperò Marina.
-Forza, su, non perdere tempo. E cerca di volare!- la incitò Rosanna.
Marina, sconsolata, tornò indietro ma prima di entrare nel grattacielo sentì una voce:
-Ho sentito i vostri discorsi; prova davvero a volare!
-Ma chi è che parla?- chiese Marina.
Incredibile ma vero, era un uccellino.
-Guarda sono qui sopra di te. Io sono un passerotto magico; non solo parlo ma se tocco le tue braccia con il mio becco tu potrai volare per cinque minuti; ma ricorda: solo cinque!
-Va bene, mi basteranno certamente per prendere la mia calcolatrice- disse entusiasta Marina.
L’uccellino le sfiorò le spalle con il becco e Marina, agitando le braccia, cominciò davvero a volare e in men che non si dica si trovò in cima al grattacielo.
-E’ stupendo, è bellissimo!- urlò Marina, mentre passava tra una nuvola e l’altra -Da qui vedo tutta la città, è magnifico! E posso fare anche le capriole nell’aria!
L’uccellino le passò accanto e Marina si ricordò improvvisamente che doveva scendere perché i cinque minuti erano quasi trascorsi e così atterrò, con eleganza, come un jumbo sulla pista dell’aeroporto. Appena vide Rosanna, le disse:
-Non ci crederai, ho volato!
-Certo, certo- ribatté Rosanna -ma la calcolatrice?
-Oh, no, l’ho di nuovo dimenticata.
-Cerca di volare meglio, allora!- disse Rosanna prendendola in giro.
L’uccellino se n’era andato e Marina si mise a “scalare” il grattacielo. Ma era felice lo stesso.
LA MAGA ECO E LA FUGA DELLE PAROLE
Un giorno accadde che le parole, fuggendo disordinatamente con tutte le loro lettere alfabetiche, se ne andarono al Polo Nord.
Le pagine dei libri e dei giornali diventarono tutte bianche.
Le persone non parlavano più e non capivano più nulla: mettevano il cibo negli autobus e volevano viaggiare con i frigoriferi.
C’era chi si soffiava il naso con le ciliege e chi cucinava le lampadine!
Dopo qualche tempo la maga Eco, proprietaria di una famosa valle dove le parole andavano sempre a giocare, non vedendole più, decise di andare a cercarle. Guardando nella sua sfera magica scoprì dove erano andate, si mise il cappotto, partì e le raggiunse.
Ma le parole non volevano tornare:
-Noi vogliamo riposarci. Siamo stanchissime, la gente ci usa tutti i giorni; siamo dappertutto, pare che non si possa fare niente senza di noi.
-Ma è così, se non ci siete voi, la gente non capisce più nulla, è disperata.
-No, cara Eco, non torneremo mai più. Che le persone si arrangino da sole.
-Accidenti, non fate così! E poi, se non ci siete voi, nella mia valle, io mi sento tanto sola.
-Si, questo è vero e bisogna dire che qui al Polo Sud non ci divertiamo come nella tua valle. A proposito, cos’è successo nel mondo?
-Oh, un grande disastro, una gran confusione. Dovete ritornare al più presto, vi prego.
Le parole stettero un po’ in silenzio, poi dissero:
-Ma si, cara Eco, ti vogliamo troppo bene.
Le parole così ritornarono e le cose andarono di nuovo a posto. Ma qualche giorno dopo qualcuno inventò un autobus con frigorifero incorporato perché in estate i passeggieri potessero mangiare i ghiaccioli.Poi furono messi in commercio dei fazzolettini di carta profumati con aromi di frutta. E infine un grande cuoco fece un nuovo tipo di pasta a forma di lampadine, che si condiva con il solito ragù.
IL PUPAZZO DI NEVE
In un paese di campagna alcuni bambini avevano creato un pupazzo di neve. Con due grandi bottoni, una carota e uno spicchio d’arancia avevano fatto gli occhi, il naso e la bocca. Ci voleva un bel cappello ma non si riusciva a trovarlo.
I bambini decisero di cercarlo il giorno dopo perché si era fatto tardi.
Quella sera il signor Anselmo, che abitava vicino alla strada dove c’era il pupazzo, stava discutendo con la moglie, la signora Giovanna.
-Mi fai fare sempre brutta figura- diceva Giovanna -per colpa di quel dannato cappello, vecchio e brutto, che porti tutti i giorni. Comprane un altro, diamine!
-Ma a me piace, ci sono affezionato.- protestava Anselmo.
-E’ un cappellaccio schifoso. Quando usciamo, tutti lo notano e ci prendono in giro.
-Ma non è vero che è brutto e neanche vecchio.
-Niente ma! Se lo metterai ancora, non uscirai più con me.
Dalla rabbia il signor Anselmo aprì la finestra, prese il cappello e lo gettò fuori.
-Sei contenta, adesso?- disse alla moglie.
E continuarono a litigare fino a tardi.
La mattina dopo i bambini, appena usciti dalla scuola, andarono subito dal loro pupazzo di neve. Con grande meraviglia di tutti, il pupazzo aveva sulla testa un grande cappello nero.