Giro a Tondo – di Maurizio Puppo (Il babau n. 2)

La casa era vecchia, con la facciata esterna di pietra, bisognava passare un voltino per entrare, e poi per una ripida scaletta mezza diroccata. Lei abitava lì; una vecchietta smilza e taciturna, che si aggirava nelle stanze con pignatte e mestolini. Tutto in quella casa aveva un sapore morbido e dolce, come di biscotto; ma, a farci attenzione, il gusto si rivelava lontanamente ammuffito-proprio quello di un dolce rimasto a lungo dentro una scatola di latta.

Ogni cosa aveva dunque il tragico e quieto sapore della vecchiaia.

 

Spesso, al pomeriggio, Giovanni andava lì.

Gli piaceva l’atmosfera del vecchio cortile, della casa modesta e umida La vecchia era una sua parente, non molto stretta, in realtà, ma a lui non importava, e gli piaceva andarci.

Lei lo accoglieva con flebile, ma sentita contentezza. Gli faceva il tè – con i biscotti-e gli passava ogni sorta di dolcetti. I dolci erano buoni eppure Giovanni vi sentiva dentro – forte e tenace – quel dolciastro e rilassato odore di vecchio. Ogni tanto ne provava nausea. Allora posava il biscotto, e subito la vecchia lo fulminava: perché non lo mangi? Non ti piace? Ti piacevano di più gli altri?

La vecchia insisteva per un po’ poi desisteva.

 

Giovanni portava con se libri e i quaderni, per fare i compiti. La vecchia gli chiedeva come andava a scuola, e gli faceva i complimenti per la sua diligenza.

Bravo-gli diceva-Bravo che studi sempre. Studia e ti farai strada. Vedrai.

Giovanni annuiva – non molto convinto in verità. Ma si sentiva bravo e serio a stare lì, in cucina, a studiare.

Faceva i problemi di matematica, e speso il risultato non gli veniva. Allora si distraeva e restava a guardare i grossi fiori della tovaglia di plastica che copriva il tavolo. Ce n’erano di rossi e di marroni, lacerati da profonde sgualciture.

Di solito, quando i biscotti erano finiti, e con loro anche le considerazioni sulla scuola, lei andava in camera, a riposare.

Scusami sai-diceva-vado un po’ a letto. Mi sento così stanca. Guarda, lì c’é la televisione ; se vuoi mangiare apri la credenza…

Giovanni rispondeva che sarebbe rimasto ancora un po’ lì a finire i compiti. In realtà gli piaceva restare da solo nel tinello squallido, immerso nel silenzio e nell’odore umido delle pareti. Attendeva qualche minuto, poi, dalla porta della camera, udiva un flebile sospiro teso e regolare. La vecchia dormiva.

Giovanni qualche volta provava

ad accendere il televisore, un vecchio apparecchio in bianco e in nero, dalle immagini lattiginose. Ma subito lo spegneva. Allora scostava una logora tendina rossiccia, lì, vicino alla credenza, e cominciava a rovistare – piano, piano – fra gli oggetti. C’era una scatola di cartone, e dentro un po’ di giornali. Erano perlopiù riviste femminili, un po’ scandalistiche piene di pettegolezzi insapori. Giovanni le prendeva in mano sperando ardentemente in qualche nuovo arrivo, ma questo accadeva di rado. Il più delle volte si immergeva nella lettura di quelli che ormai conosceva a memoria Quello che gli interessava erano le foto di attrici e cantanti; giovani donne che stava a guardare con seria attenzione e un poco di batticuore persino – come se stese facendo una cosa proibita. Il contrasto di quelle immagini di giovanile bellezza, e l’atmosfera della vecchia casa gli piaceva e però gli sembrava irreale.

Tutto dunque apparteneva allo stesso mondo? Comunque fosse in quel momento Giovanni sentiva di essere, se non un anello di congiunzione, almeno un testimone del contrasto fra queste realtà così lontane…

Dopo la lettura della rivista, Giovanni cominciava a gironzolare inquieto. Apriva la credenza e prendeva un biscotto, si affacciava alla finestra-oppure entrava , con circospezione, in un’altra stanza della casa, sempre vuota.

Lì c’era un letto, un comodino con una lampada, un piccolo armadio. Giovanni apriva la porta con il respiro mozzato, per non far rumore e guardava.

 

***

La salute della vecchia peggiorava rapidamente. Stava in piedi per poco, giusto il tempo di incitare Giovanni a mangiare i biscotti e a studiare, poi andava a letto. Parlava sempre delle sue malattie con aria di fatalistica rassegnazione. Giovanni stava a sentirla, ogni tanto annuiva. Ma non gli importava più di tanto. Che una persona anziana fosse malata gli pareva perfettamente normale -per cui non c’era da preoccuparsi. Piuttosto, di sicuro c’era che la casa si trovava più tempo a sua disposizione. Una volta a letto , la vecchia difficilmente poteva muoversi, e a lui rimaneva la più ampia libertà.

Qualche volta portava con se un amico-giocavano a carte e studiavano insieme , scherzando a bassa voce e con risolini soffocati. Oppure restava lì a leggere per tutto il pomeriggio, immerso nel silenzio della casa.

 

***

All’inizio della primavera, Giovanni cominciò a frequentare meno assiduamente la casa della vecchia. Le giornate erano belle e lunghe e nell’aria c’era una dolce quiete. Andava con un paio di amici a passeggiare nei parchi, e fu durante uno di questi pomeriggi che conobbe la cugina di uno di questi – una ragazzetta bionda e abbronzata.

La ragazzetta bionda e abbronzata si chiamava Monica, e la sua presenza suscitava nel cuore di Giovanni una certa agitazione, che lui cercava di dissimulare, anche se la sua figura era andata ormai al centro dei suoi pensieri.

Rispetto ai suoi amici, Giovanni si considerava però battuto in partenza; spesso, anzi , si sentiva di troppo. E allora scrutava ansiosamente i gesti gli sguardi le parole e i segreti pensieri degli altri, e credeva di riconoscervi una complicità profonda, da cui si sentiva escluso; loro avevano con Monica già una certa confidenza, quella che lui non riusciva ad ottenere. La cosa lo faceva soffrire con tacito rincrescimento. Tanto che , un pomeriggio di maggio inoltrato, disertò la compagnia per tornare alle antiche abitudini-la visita alla vecchia alla sua casa ammuffita. Verso le tre si inoltrò sotto il voltino, salì la scaletta, salì e bussò alla porta.

La vecchia non rispondeva. Doveva già essere a letto.

Giovanni accostò il viso alla porta, cercando di vedere attraverso il viso verdastro. Il tinello era deserto; sul tavolo, la tovaglia di plastica sgualcita con sopra un piatto.

Restò lì, a guardare l’immobile scena per qualche istante, poi si scosse, e i suoi pensieri tornarono a concentrarsi su Monica. E di colpo avvertì il peso della lontananza da lei e di quanto fosse stato sbagliato pensare di non provare nemmeno ad averla. Nella sua testa ronzavano le domande :dove saranno adesso? E cosa staranno facendo? E sempre più si pentiva in cuor suo di aver rinunciato alla loro compagnia, e a quella di Monica, soprattutto.

Il giorno dopo si riunì al gruppetto .Andarono in campagna, scherzarono e risero molto, e Giovanni scoprì con stupore che Monica gli mostrava una certa simpatia. Tornò a casa entusiasta. L’indomani avrebbe provato a baciarla, appena possibile.

 

***

L’indomani la baciò infatti-si assentarono per un qualche motivo, e le loro labbra si unirono in un nodo stretto. Ma dopo pochi istanti avevano dovuto di nuovo unirsi agli altri, e Giovanni, per quanti sforzi facesse, non riusciva a stare calmo e tranquillo a scherzare con gli altri? I suoi sensi si erano accesi, e così cercava con la mano quella di Monica, e intrecciava le dita con delicatezza e forza insieme.

Uno strano sapore gli si formava in bocca in quegli istanti-era il sapore della vita, ma non o sapeva ancora – e gli veniva da pensare ai tanti pomeriggi trascorsi a casa della vecchia; a quella sua zuccherosa solitudine di allora, e al desiderio che lo portava a guardare nascostamente le foto delle ragazze sui giornali… Ma, adesso era qui, la sua mano poteva sentire la carezza della pelle di Monica, e pochi minuti prima aveva sentito anche il sapore delle sue labbra. I suoi desideri e i suoi turbamenti non erano più per irraggiungibili figure di carta – ma per una creatura di carne e ossa, vera, di questo mondo. Dio mio, si chiedeva ora, come aveva potuto sopportare la solitudine di quei pomeriggi – la loro malinconia? Eppure no, non era proprio così – lui ci stava bene in quella casa, ci si sentiva tranquillo e dolcemente triste, e però adesso tutto quello che gli dava un senso di repulsione, quasi fosse una colpa.

Il mondo, il mondo vero era questo; il mondo era la mano di Monica, non più il morto silenzio di quelle stanze .

Nei pomeriggi seguenti, amoreggiarono a lungo su una panchina. Lo imbarazzava parecchio l’idea della gente che passava e li vedeva così, teneramente abbracciati. Durante uno di quei pomeriggi ormai quasi estivi, gli venne improvvisa l’idea di portare Monica alla casa della vecchia.

Pensava alla quiete e al silenzio della casa, quando la vecchia filava a letto; e lo eccitava stranamente l’idea di amoreggiare con lei proprio lì, in quelle stanze, a pochi metri dalla vecchia che dormiva.

Certo in nessun altro posto avrebbe provato la stessa sensazione. Lì, con l’odore umido delle mura, il sapore dei biscotti un po’ ammuffiti, e il pesante sospiro della vecchia…

L’indomani fece finta di passare per puro caso, con lei a braccetto, davanti alla casa.
Le disse:

“Senti, io faccio un salto a trovare una mia parente…Cinque minuti, non di più. Mi aspetti qui?”

Bussò alla porta e attese. Dopo qualche istante la vecchia aprì. Giovanni la trovò spaventosamente peggiorata. Si reggeva in piedi a malapena. Difatti, dopo poco, scusandosi con lui, sparì in camera da letto. Così, si ritrovò solo, una volta ancora, nella casa silenziosa. Andò alla finestra – giù Monica aspettava, un po’ spazientita. Le fece ceno di salire Sgattaiolò sulle scale, ed entrò nel tinello. Giovanni, a voce bassissima le disse:

“E se restassimo qui? Sai…é andata a dormire e ci resterà un bel po’.”

Poi la strinse fra le braccia e la baciò. Il cuore gli batteva all’impazzata. Sentiva il consueto odore della casa frammisto al sapore delle labbra di lei.

La prese per mano e-piano, pianissimo, la portò dentro la stanza sempre vuota e intatta, dove c’era un letto. Si distesero sulle coperte – chissà da quanto tempo nessuno toccava quel letto, chissà se era mai successo -e Giovanni sentiva che quello, quello che stava accadendo era ciò che aveva sempre desiderato, senza saperlo; entrare in quella stanza, ma con qualcuno accanto.

***

Era passato parecchio tempo quando Giovanni aprì la porta e si inoltrò cauto nel tinella polveroso.

Dentro la stanza Monica si era rivestita e stava mettendo a posto il letto. Giovanni tese l’orecchio trattenendo il respiro, ma sentiva solo il soffice rumore del suo cuore che batteva. Si avvicinò alla stanza della vecchia per udirne il respiro arrancante. Ma invano . C’era solo silenzio.

Monica uscì dalla stanza e gli sorrise.

“Andiamo via ?”, disse.

“NO, aspetta”, rispose lui. “Perché? Non vorrai svegliarla”

“Hai ragione é meglio che andiamo via”, concordò.

Fecero per avviarsi. Giovanni stava sempre con l’orecchio teso, cercando di sentire il consueto respiro di là, nella stanza ; Ma non sentiva nulla .

“Aspetta, voglio dare un’occhiata”

Allora si accostò alla porta. Piano, pianissimo, con delicatezza infinita cominciò ad aprire la porta.

Guardò il letto-era vuota. Lo sguardo corse a fianco del letto e la vecchia era lì, accasciata a terra , immobile.

Spalancò la porta . Era riversa sul pavimento, il volto pallidissimo;

Sentì un moto di repulsione e la voglia di scappare;

Ma si fece forza . Si avvicinò.

La toccò sulla fronte. Era gelida .

E’ morta, pensò, è proprio morta.

Uscì dalla stanza e guardò Monica.

“Cos’hai, sei bianco come un cencio “, gli disse.

“La vecchia sta male “, disse lui.

“Sta male? Bisogna chiamare un dottore, allora”, fece lei.

“Credo che sia morta “, disse infine Giovanni.

Insieme scesero le scale per andare a telefonare al medico-la casa non aveva telefono. Sentiva il passo di Monica sul selciato e gli piaceva quel rumore.

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