Salmastro – di Eugenio Fici (Il babau n. 6)

Ancora non riesco a crederci e pensare a questa storia. Ho voluto dimenticarla ma il movimento è unico, lentamente circolare; non in questa direzione lo trovo. Viaggio tutto il giorno ascoltando i rumori cupi del motore dopo aver riflettuto a lungo barricato in casa telefona ogni tanto agli amici, cercando invano un elemento che possa ricollegarmi all’atmosfera di allora, degli inviti culturali delle cene letterarie.

 

Questa notte dormo all’aperto con il sacco a pelo; cerco freneticamente nel bagagliaio la tenda e tutti gli attrezzi per la sosta. Qualcuno mi insegue nella mia fuga mentre ritrovo le sensazioni, i rimorsi e la coscienza che non ero abbastanza maturo per capirlo e assisterlo. E’ scomparso così dopo qualche anno che non lo vedevo.

Il mio viaggio in Spagna si sta ritirando come un’onda immensa che si è appena rovesciata e lascia scoperto il cadavere dello scrittore. I fantasmi di allora sono in agguato, pronti a sgusciare nel buio e a rivelarsi nella loro immediata presenza; li potrei catalogare uno ad uno per parole, emozioni e voci che riescono ancora a dirmi.

Mi avvolgo dentro il sacco a pelo per difendermi dall’umidità; l’aria della sierra è incantevole e tragica; dal terreno rosso scuro salgono folate di aria calda. Io sono sotto la mia tenda, ho chiuso tutti gli spiragli perché di notte la temperatura scende mentre avverto una languida sensazione di malinconia che sale dal terreno a lungo infuocato.

Stava scomparendo nella notte quando un fascio di luce illuminò gli olivi; era passata una macchina, finalmente in tutta la notte avevo ascoltato un rumore e una luce aveva attraversato il mio isolamento.

Ora riprovo finalmente la voglia di cercare le persone. Quanto dista Cordoba da Alcantara? Forse una distanza incolmabile. In quel periodo in cui l’avevo conosciuto era affermato, anche se viveva nei ricordi affossato nella sua poltrona a fianco del telefono in attesa di un fatidico committente; così appollaiato sui ricordi delle giubbe rosse, dei ritrovi fiorentini con Gadda, Montale, Vittorini, lo vedo con gli occhi cerchiati che ascolta una voce; é stato nel cassetto della sua scrivania che rinvenni una lettera di Eugenio Montale che, con estrema discrezione, lo rimproverava teneramente della sua omosessualità; in quel periodo era conosciuto e affermato e tutti si saranno meravigliati per quella morte orrenda.

L’onda si era ritirata con quel classico boato che ti fanno sentire da bambino dentro le conchiglie. Si è buttato giù da una scogliera come si butta via un pezzo di carta in un cestino.

Immagino ancora la scoperta del cadavere, un giorno tipicamente sciroccale e piovoso; i carabinieri illuminarono con le torce elettriche; qualcuno si avvicina affondando le scarpe nella sabbia bagnata: “Si è lui, lo riconosco”. Poi lo richiudono dentro un sacco. La sala mortuaria gremita di gente.

Le onde si erano ritirate in pieno crepuscolo scoprendo la morte. Ma lui si è gettato per disperazione, quasi seguendo un movimento circolare che si richiude su se stesso. Non era la notizia che ha svuotato i miei giorni, né l’assurda decisione che l’ha spinto ad annegarsi nelle acque scure del golfo: è quell’aria che dalle nostre parti chiamano salmastro e che si solleva dal mare quando è pieno di correnti in profondità e che il vento tiene sotto nascoste.

Oggi sono uscito all’autogrill e il caldo bruciava il parcheggio; salendo in alto provo una vampata che mi scuote; vorrei dimenticare quel terribile giorno e sento il mio organismo abbandonato alle vertigini. Corro; perdo così l’idea del tempo. Una luce forte invade tutta la pianura.

MI sveglio con rabbia e guardo l’ora: sono quasi le quattro; la sierra morena è invasa da un vento fresco e salutare. Fra poco i contadini della valle si alzeranno per andare nelle terre e lavorarle fino al tramonto. Mi sento escluso da questo mondo e dai suoi ritmi e, mentre penso rinchiuso nella mia scatola di tela gialla al cielo illuminato, l’alba si tinge di luce violacea immensa. In quel momento e negli istanti successivi al lento risveglio, scorre quasi per inerzia la cerniera del sacco a pelo poi quella della tenda.

Ho percorso per gioco tutti i Kilometri che dividevano Cordobilla da Alcantara ed ora sto uscendo da un umido sacco a pelo.

Ricordo Francisca Maria Alonso, i suoi capelli corvini che non sapevo accarezzare. Adesso scorgo nell’intercedere del giorno nella notte silenziosa, la stella che si spegne nell’atroce violaceo del mattino. Ormai sono solo per il resto del mondo; mi sono abituato al ricordo di Francisca e al sua addio alla stazione di Madrid, al disconoscere un destino amaro e crudele. Potevo rimanere insieme a Maria Alonso, ai suoi capelli corvini, ai suoi sogni, ma una forza irresistibile mi spinge verso un movimento circolare che le correnti producono nelle lunghe e noiose giornate di scirocco.

Quando apro la finestra m’invade ancora l’odore di salmastro, seguendo il lento movimento circolare che mi ha condotto una sera in casa di un famoso scultore di Firenze; seguendo il movimento delle correnti che sentono e apprezzano coloro che sono nati sul golfo.

Francisca si sarà sposata e avrà tanti bambini oppure è sola e attraversa le vie di Madrid con i sandali allacciati alle caviglie, mentre giro e rigiro il cucchiaino nel fondo della tazzina nel bar dell’autogrill, mentre mi ricordi il corpo di Francisca. Il viaggio verso Alcantara mi propone di nuovo una dimensione di colline rossicce, dove brani bianchi di costruzioni basse, interrompono qua e la il terreno. La strada ondulata si snoda come un nastro grigio. Giro lentamente il cucchiaino verso il fondo della tazzina; ai lati una crema densa e nera solcata dal mio movimento dall’alto verso il basso , lascia spazio al bianco della tazza; conduco le righe, come arare un campo verso il fondo cercando il modo di mimetizzare i miei ricordi. Se dovessi raccontare questa storia la definirei ignobile e senza senso compiuto. Ho lasciato 4 pesetas sul tavolino e corro via spietato, pensando al prossimo articolo che devo spedire: “Pietro Sironi: gli scrittori minori e il realismo del dopoguerra”.

Le canzoni spagnole trasmesse sull’auto radio mi ricordano che sono di nuovo in viaggio e che il mio viaggio-fuga non finirà mai e non troverò pace né sosta alla mia connaturata angoscia.

Ma è stato quell’odore di salmastro che si è insinuato nella mia stanza quando, giorni o mesi fa (non ricordo) ho aperto la finestra; ed ora cerco di spazzar via il salmastro invadente e parassita. Non è stato il fallimento definitivo che mi ha steso, ma la pausa silenziosa tra un’onda e un’altra. Ho preparato una borsa in fretta riflettendo sul magico rientro della luna sulle acque del golfo; mi affacciai quella sera respirando il sereno e guardando verso la luna gli ultimi istanti. Poi trovai la pioggia incontrastata mentre costeggiavo la Francia. Arrivai a Barcellona sfinito ascoltando il bieco rumore dello scarico della marmitta.

Avevo consultato lo schedario in biblioteca con gli occhi ancora gonfi; sapendo che alla redazione volevano qualcosa di intellettuale aggressivo scartai lo schedario una traduzione dall’inglese di una mia amica d’infanzia e mi fermai alla S. Sironi Pietro, l’avevo trovato. Il titolo del romanzo che aveva pubblicato era al centro della scheda; m’immersi ancora assonnato nella lettura; poi i rumori svanirono dolcemente e sentì le palpebre abbassarsi, il collo liberato e oscillante. Improvvisamente la realtà però riprese: “Si chiude fra dieci minuti” Erano già le dodici! Mi ero addormentato quasi senza accorgermi e per almeno un’ora.

Il libro mi aveva fatto da cuscino e mi accorsi che ero ancora nella biblioteca dell’università; mi guardai intorno con un senso vago di felicità e tirai un sospiro di sollievo. Aprì velocemente il romanzo, cercando chissà quale emozione o ricordo o elemento utile per la mia ricerca; sic tornai alle note biografiche che costituivano l’introduzione all’autore. Qui il critico sospendeva la dissertazione in conclusione di un viaggio in Spagna che Sironi aveva compiuto, riprendendo con un tono scandito e perentorio:

“Pietro Sironi muore la notte del 13 Febbraio, probabilmente suicida, precipitando da una scogliera”.

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