– E’ tardi signore, tra poco chiudiamo.
Il tono del barista era gentile, ma con una certa punta di impazienza, tanto che perfino Carlo se ne accorse, nonostante fosse ubriaco.
– Finisco il bicchiere e me ne vado… Va… va bene?
Le sue parole erano impastate ed esitanti, ma riusciva a reggersi in piedi senza troppa fatica. Terminò l’ultima birra, fece un mezzo giro su se stesso e si diresse verso la porta. Una giovane coppia, che si preparava ad uscire insieme a lui, lo stava osservando con malcelata ironia. Carlo passo di fronte al loro tavolo facendo finta di niente, anche se per un attimo il sorrisetto idiota del ragazzotto gli fece venir voglia di fermarsi, ma sapeva già come sarebbe andata a finire se lo avesse fatto, e aveva troppi problemi quella sera per crearsene stupidamente degli altri. Nel giro di una settimana aveva prima perso il lavoro e poi era stato lasciato dalla moglie, dopo quindici anni di matrimonio. Si sentiva come fosse stato improvvisamente investito da una valanga. Non era stato così depresso dalla morte di suo padre, per infarto, una decina di anni prima, quando quasi contemporaneamente aveva dovuto chiudere precocemente una promettente carriera di pugile, per un brutto incidente in palestra. Come allora, la stessa sensazione d’improvviso sradicamento, la stessa paralizzante incapacità di capire perfino quello che gli stava succedendo, la stessa mescolanza di desolazione e di furia. Eppure in fondo era accaduto solo che sua moglie si era innamorata di un altro. Nel matrimonio qualche volta capita. Anzi alla signora, per la precisione, era già successo un paio di volte di distrarsi ed infilarsi nel letto sbagliato. Un paio di “semplici sbandate”, come aveva detto lei. Carlo per altro era stato abbastanza paziente da chiudere un occhio e tirare avanti. Quella volta però era andata diversamente. Eh sì, la signora si era “pazzamente innamorata”, così gli disse testualmente. “Davvero? Sono commosso” – risposte lui d’acchito, ma lei non fece molto caso all’ironia, persa com’era nella sua estasi psichiatrica. Aveva tentato un ultimo chiarimento alla presenza perfino del suo amante, un tizio alto e magro che non stava mai fermo sulle gambe, uno dall’aria giudiziosa e rispettabile, tanto per bene, di quelli che erano sempre piaciuti a sua moglie, e che per contro suscitavano in Carlo irrefrenabili impulsi aggressivi. Aveva provato in tutti i modi ad esser calmo, ragionevole, a comportarsi insomma da uomo moderno e civile. Il risultato non era stato però esattamente confacente alle sue intenzioni. E il terzo incomodo era finito all’ospedale con due costole rotte e una sospetta frattura alla mascella, sua moglie era stata colta quasi da una crisi isterica e lui per soprammercato aveva subito una denuncia per aggressione e lesioni aggravate o qualcosa del genere. “Almeno adesso per un po’ sta fermo”, fu l’unica cosa che aveva saputo dire quando la polizia era arrivata. Tre giorni prima l’azienda gli aveva dato il benservito ritenendolo “in esubero”, così almeno gli era stato detto dal capo del personale, simulando nel dir ciò un’aria contrita e sofferente. Certo non sarebbe stato licenziato subito ma ormai il conto alla rovescia era cominciato. Carlo osservò fuori dalla finestra, nel buio. Pioveva piuttosto forte ma quella sera per pigrizia non aveva voluto portarsi dietro l’ombrello. Appena aprì la porta fu immediatamente investito da una frustata di vento e pioggia. Senza fretta si chiuse l’impermeabile liso e trasandato, si rialzò il bavero e tirò la porta dietro di sé. Infine, le mani serrate nelle tasche, avanzò nella notte a testa bassa con l’acqua e il vento che lo sferzavano impietosamente. I suoi passi risuonavano sull’asfalto coperto di innumerevoli pozzanghere. Non cercava neppure di proteggersi riparandosi sotto i portici o accostandosi ai palazzi, e quando passava qualche rara macchina si limitava a scansarsi, per poi ritornare al centro della strada. Rimaneva così sotto l’incessante furia della pioggia, a costo di prendersi qualche serio malanno. Ma non gliene importava. Più di una volta si fermo perfino. Alzava il viso al cielo chiudendo gli occhi, con la bocca semiaperta, e lì indugiava per qualche istante, rimanendo immobile, come in un’estasi silenziosa. Poi riprendeva il cammino senza fretta. Dopo una decina di minuti giunse al ponte di B. L’ora tarda, il tempo, e le luci dei lampioni, che bucavano le tenebre, conferivano al posto un aspetto particolarmente spettrale. La sua abitazione si trovava dall’altra parte del ponte, ma non aveva molta voglia di tornarvi. Si fermò, indugiando un poco, indeciso sul da farsi. Del resto a quell’ora che cosa avrebbe potuto fare se non tornarsene a casa? In attesa di una decisione che non arrivava si affacciò dal parapetto. Le acque del fiume scorrevano scure e impetuose sotto di lui. Con le piogge dell’ultima settimana si era molto elevato anche se era ancora lontano dal livello di guardia. Per un attimo si sorprese a pensare al suicidio. Se si fosse buttato, trascinato da quella corrente, sarebbe morto in pochissimo tempo, e forse il suo corpo non sarebbe stato neppure più ripescato. In fondo, da come andavano le cose, poteva la sua eventuale scelta di uccidersi essere definita assurda o “insana”? Tutto ciò che aveva faticosamente costruito negli ultimi anni – una famiglia, un lavoro decente – era stato spazzato via in un attimo, come se non fosse mai esistito, e quel che più conta con nessuna prospettiva di speranza immediata. La sua vita era ora investita da un vento di desolazione e di furia che sembrava non dovesse mai smettere di soffiare. Immerso in questi cupi pensieri si sporse ancor più dal parapetto. I piedi si staccarono leggermente dal suolo. In quel momento provò un’inebriante sensazione di potere su se stesso e sulla vita. Sì, avrebbe potuto, in un attimo… solo in un attimo… era così raccolto in se stesso che non sentì neppure che qualcuno gli si era avvicinato. Una mano gli toccò il braccio, e quasi contemporaneamente udì una voce educata e tranquilla alle sue spalle.
– Scusi, non dovrebbe sporgersi così, è pericoloso.
Carlo si voltò di scatto, irritato da quell’imprevista intrusione. Davanti a lui alla luce incerta del lampione si stagliava la figura di un prete sui cinquant’anni, piccolo di statura e dall’aria florida. Aveva in testa un cappello fuori moda, e nella mano destra stringeva un piccolo ombrello femminile, che lo proteggeva appena, e che gli conferiva un aspetto vagamente comico.
– Sta bene vero? – chiese ancora l’uomo gentilmente.
– Oh sì, grazie, sto bene…
– Mi scusi ma per un attimo ho creduto che volesse…
– Che volessi uccidermi? No, stia tranquillo, ero solo incuriosito dal fiume in piena. – poi s’interruppe, ancora più irritato. Non voleva certo giustificarsi agli occhi di uno sconosciuto.
L’uomo sembrò capire e non insistette. Si guardò attorno con atteggiamento enfatico e infine disse, con l’aria di affermare la cosa più originale del mondo: – Certo che un tempo… Questa primavera è davvero matta.
– Già – si limitò a dire Carlo, non volendo incoraggiare in alcun modo quel seccatore pieno di buone intenzioni. Non vedeva l’ora che se ne andasse. E del resto detestava tutti i professionisti della salvezza altrui, specialmente se preti. L’uomo non se ne dette per inteso e continuò a chiacchierare con aria svagata. Il suo atteggiamento però manifestava una così gentile sfrontatezza che a poco a poco l’ostilità di Carlo fu scalfita, lasciando il posto ad una pigra curiosità. Così cominciarono a parlare del più e del meno, finché insensibilmente la conversazione assunse un tono via via più sciolto ed amichevole. Carlo non aveva mai conosciuto una figura di prete così, se non in qualche film edificante. Si avvide subito che era una persona molto alla mano e a dispetto della sua condizione sacerdotale, pieno di ironia e senso dell’umorismo. Più di una volta, suo malgrado, lo fece sorridere con certe sue battute. Eppure nonostante quell’aria un po’ alla buona, Carlo intuiva che si trovava di fronte ad un “cervellone”, e come tutte le persone ignoranti, ma intelligenti, egli aveva un grande rispetto per la cultura. E così lo ascoltava parlare incantato, come se quello gli stesse raccontando delle favole meravigliose. Venne a sapere che era uno studioso e che svolgeva importanti lavori di traduzione da diverse lingue antiche e moderne. Per necessità legate alla sua funzione sacerdotale aveva dovuto viaggiare a lungo in paesi stranieri, e si trovava in città per un convegno internazionale. Alloggiava in un albergo, ma dato che non era mai stato in quel luogo e l’indomani avrebbe dovuto andarsene, aveva preferito farsi un giro per conoscerlo meglio, sia pure di notte e con quel tempo impossibile. Senza che se n’accorgessero le ore passavano, mentre affiancati uno all’altro sotto l’ombrello, appoggiati al parapetto del ponte, continuavano a chiacchierare come vecchi amici, finché a Carlo sembrò naturale raccontargli delle dolorose vicende che lo avevano recentemente toccato. Il prete lo ascoltava attento dimostrandogli comprensione. Poi parlando a sua volta, tra una cosa e l’altra, suggerì che tramite qualcuna delle sue innumerevoli conoscenze poteva rimediargli forse un nuovo lavoro. Carlo non riusciva quasi a credere a ciò che sentiva. La sua vita stava forse cambiando di nuovo, dopo le angosciose esperienze degli ultimi giorni?
– Io non so come ringraziarla – si schermì imbarazzato anche per ciò che aveva pensato prima di quell’uomo.
– Non mi ringrazi. Quando l’ho vista ho capito subito che aveva dei problemi… E poi fa parte del mio contratto di lavoro aiutare gli altri.
Sorrisero entrambi della battuta.
– Piuttosto – continuò – forse sarebbe il caso di andare da qualche parte. Se rimaniamo ancora qui ci prendiamo una polmonite.
– Ha ragione – disse Carlo – perché non viene a casa mia? Possiamo ancora far quattro chiacchere e magari le offro qualcosa.
– D’accordo – rispose il prete con il suo miglior sorriso – a patto che ci diamo del tu; e ora fammi strada.
Carlo stava per aggiungere ancora qualcosa quando alle sue spalle udì il rumore di un’automobile che si stava avvicinando rapidamente, seguito dallo stridio di una brusca frenata. Si voltarono e videro una macchina della polizia. Ne uscirono in fretta tre uomini armati, di cui uno in borghese. I tre si piantarono a gambe larghe in mezzo alla strada, puntando le pistole verso di loro. Carlo si irrigidì immediatamente, interdetto. Gli parve di assistere alla scena di un brutto film d’azione.
– Non muoverti tu, o spariamo – gridò quello al centro rivolgendosi al prete. Con la coda dell’occhio Carlo osservò il suo conoscente che sembrava esser rimasto perfettamente tranquillo.
– Che cosa sta succedendo? – chiese perplesso, pensando ad un equivoco. Era molto nervoso, non si era mai trovato con una pistola puntata addosso. I tre si avvicinarono con cautela.
– Stia calmo, non ce l’abbiamo con lei. Piuttosto si allontani da quell’uomo.
– Ma lo vedete questo è un prete e…
– Prete un corno – lo interruppe bruscamente il poliziotto – questo signore è un criminale, uno psicopatico. Si sposti e faccia presto!
Carlo si mosse ancora incredulo.
– Siamo tutti nelle mani della Provvidenza – si limitò ad osservare l’uomo, innaturalmente immobile, fissando i tre poliziotti. Aveva parlato con un tono solenne, che le circostanze rendevano però grottesco.
– Vedo che hai sempre voglia di fare il buffone. – disse quello che sembrava il capo, e mentre costui stava di fronte al ricercato, puntandogli la pistola alla testa, gli altri due lo aggirarono cautamente, e togliendogli l’ombrello gli afferrarono le braccia e gli fecero scattare le manette ai polsi.
– Bene. – sospirò – Ora scherzi non ne puoi fare più – e poi rivolgendosi a Carlo con tono più rilassato – Lo sa che l’ha scampata bella?
– Ma parlava proprio come un prete… – balbettò – mi sembrava una persona normale, mi aveva anche promesso… – e s’interruppe, sentendosi ridicolo.
– Oh sì, si diverte un mondo a fare certi scherzi. Ha il gusto teatrale per i travestimenti e ne cura ogni particolare, a suo modo è un professionista. – e poi aggiunse ridacchiando sinistramente – Sa, il nostro amico è proprio uno spiritosone. Una volta si fece passare per un chirurgo… operò la sua vittima… senza anestesia… non so se mi spiego. – Si spiegò e, terminando di parlare, ridacchiò di nuovo a sproposito.
Carlo si accorse che non aveva più guardato quell’uomo da quando erano stati raggiunti dai poliziotti. Allora, sfidando un senso di indefinibile disagio, lo fissò dritto negli occhi, per quanto gli permetteva l’incerta luce del lampione. Il ricercato gli ricambiò in silenzio lo sguardo con la stessa aria apparentemente bonaria. Eppure per un attimo il ferreo autocontrollo di quel criminale gli parve allentarsi, e gli sembrò di intravedere qualcosa nei suoi occhi, e fu come se per un istante una luce abbagliante illuminasse una orribile stanza di tortura, piena di corpi doloranti e straziati, e un’immensa ondata di orrore salì fino a lui. Poi quella luce si spense, come si era accesa, e riapparve l’innocuo sorriso dell’uomo. Ma ora non aveva più bisogno di fare domande: ora sapeva. Dopo qualche breve parola di circostanza i poliziotti lo condussero via, ripartendo con una sgommata. Carlo, attonito, rimase solo, immobile sul ponte. A lungo non riuscì a pensare nulla che avesse un senso. Solo dopo qualche tempo si accorse che aveva smesso di piovere, e che ogni traccia di ubriachezza era scomparsa.
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