Risposte – di Peter De Ville (Il babau n.10)

Ospiti

“O Dio Creatore di tutte le cose materiali ed immateriali, Consolazione delle anime erette. Luce del mondo che con il Suo Figlio dimora e regna per sempre nel più puro splendore, guardami: miserabile verme in una lercia palude di desideri peccaminosi ed atti carnali, e perdona le brame di un uomo indegno che  ancora legato a questa terra, dominio di Satana e dei suoi servi. Tocca la mia anima nuda e tremante con la divina scintilla del Tuo Spirito Santo che fece risorgere Adamo dalla comune polvere e richiamò Lazzaro ed il figlio della vedova di Nain e la figlia di Jaurus, dal ghiaccio della morte, le cui ali sento scricchiolare sul tetto della mia cella. La morte ha strappato via tutti i nostri compagni nell’agonia della peste ed io ed il mio caro fratello Ethelhun siamo rimasti soli nel tuo monastero di Melfont. O Dio ascolta la preghiera di un peccatore miserabile che  stato toccato come il fratello Ethelhun dalle dita della morte. Signore sono veramente penitente per tutti i miei peccati commessi, di pensiero, di parola o di azione ed anche i peccati di omissione. Depura il mio cuore dal peccato e con il Tuo potere purga il mio corpo da quella morte che  venuta nel mondo con il peccato di Adamo. Tuo Figlio ha reso, tramite la Sua resurrezione, l’eternità, come pure la beata Maria fece con la Sua assunzione corporale. La morte non ha nessun potere sul credente contrito. Tuo figlio ha spezzato le catene dell’inferno, sconfitto il diavolo e tutte le sue opere, aprendo una via che porta alla salvazione gloriosa. Però, O Dio Padre, ci sono peccati, oscuri e inconfessati, commessi durante una gioventù frivola, nella lussuria più pagana, che voglio ardentemente espiare conducendo una vita di opere buone che con l’aiuto del Tuo potere e sostentamento divino frutterà e sarà gradita alla Tua vista e sarà come un gioiello prezioso nella tua corona paradisiaca. Padre carissimo, non lasciarmi morire, aiutami a vivere una vita piena di buone opere, ad aborrire ogni granello di peccato che nella Tua vista purissima  come un mare di lordure. Prometto solennemente tremebondo nella paura della perdita del mio spirito eterno, di recitare il Salterio intero ogni giorno in aggiunta alle preghiere delle ore canoniche. In virtù di una penitenza sincera di peccati carnali e giovanili dedicherò due giorni di digiuno ogni settimana che Tu nella Tua saggezza e pietà, Ti degnerai di darmi.”

Egbert premette le palme delle mani contro il tronco del pilastro di pietra e si alzò dalle lastre fredde. Afferrò il mozzicone grasso della candela svenendo di stanchezza, masticando le labbra secche come un vecchietto, barcollò dalla cappella piccola e buia sino all’infermeria dove, prima di soffocare la fiamma , vide suo fratello dormire. Si sdraiò sul suo giaciglio con dolore e subito si addormentò. Qualcosa stava raccogliendosi, nella massa turbinante dall’altra parte della stanza. Pian piano, Ethelhun si alzò un poco sul giaciglio e vide impaurito una luce scintillante come una fosforescenza, come una luce di luna, un orlo di nuvola luminoso. Le pareti della stanza erano scomparse e al loro posto era la cappella. Ogni motivo ornamentale a forma di ventaglio era illuminato da una luce solare. Ma nessun bagliore di sole sgorgò mai dalle fenditure delle finestre del santuario, mai nulla di simile. Il Cristo bruno dell’altare era più sanguinoso in quella luce e luccicava e brillava come fosse vivo. C’era una figura in ginocchio, supina, che baciava le lastre di pietra del pavimento della cappella. Ethelhun seppe subito intuitivamente che quella visione era il suo unico fratello Egbert. Come un confessore ascoltò la supplica, la perorazione tormentata, e le parole erano la preghiera di non morire.

Non morire. D’improvviso gli sembrò di cadere profondamente in un acqua terribilmente ghiacciata. Si risvegliò con un sussulto, tremante. Era fradicio, i suoi abiti erano intrisi di un sudore freddo e terroso. Signore, che cosa aveva fatto suo fratello? Alzandosi ebbe a stento l’energia per addossarsi al giaciglio di Egbert e cadendogli pesantemente contro lo svegliò da sogni cordiali e colorati: “O fratello Egbert! Che cosa hai fatto? Che cosa hai fatto?”

Cominciò a piangere senza sapere se ciò fosse a causa di felicità o miseria, ma senza singhiozzi. Il suo volto non mutò quasi per nulla. Soltanto gli occhi si sciolsero e lacrimarono. Egbert guardò stupefatto suo fratello. Poi la voce di Ethelhun fu chiara e risoluta: “Speravo che potessimo entrare nella vita eterna insieme, ma ora so che la tua preghiera è stata esaudita. Ah, come ero sicuro che saremmo entrati nella vita eterna insieme.”

Si fece strada, vacillando infermo sino al suo giaciglio. Morì quella notte. Egbert si rimise il mattino seguente e mantenne, timorato del Signore, ogni suo voto.

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