Sono colui che langue sulla tua lingua – di Luca Valerio

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Senti sono quello che ogni mattina

            Senti sono quello che ogni mattina

sale sopra il bus, alla fermata prima.

Sono proprio il tipo che si siede in fondo:

mentre tu accavalli le tue gambe in quanto

            giochi fra le incognite e la seduzione

di chi mangia il giorno come colazione.

Vuoi un caffè ristretto oppure non gradisci

che ti dica che sei bella quando è buio.

            Del giornale guardo solo le figure

e l’auricolare è l’antidepressivo.

Io non so nemmeno quale sia il destino

che ti sbatta sopra questo lento mezzo.

            E non so il motivo che mi spinge a dirti

che se vuoi fuggire posso accompagnarti.

So che il tuo compagno è pressoché perfetto,

ma la perfezione fa mancare l’aria.

            Vago per il mondo sempre spettinato:

provo a non contare il tempo quando passa

ma ti giuro che non posso farci niente.

La corrente non riesce a trasportarmi.

 

È come quando salgo per le scale

È come quando salgo per le scale,

per ripidi sentieri. Cerco pause.

Frantumo il mio respiro. Un’altra pausa.

E medito pensieri meditando

che non mi arrenderò. La terza pausa.

Il senso del possesso. E ancora pausa.

e il frigo da sbrinare. Voglio pause

per potermi un poco riassestare.

 

SONO ASTEMIO

Non bevo più né tequila né rum

Ho troppa sete e non ci dormo su

Non bevo più, non bevo più

In questa stanza quando è maggio viaggio

Sto peggio, però, il mio fegato è saggio

Quando bevevo ti vedevo bella,

bella che balla che sballa sta sulla

tolda della memoria assente. Sogno

dentro la mezzanotte

e indosso solo svarowski

e leggo trotzskij

odio i mocciosi e i finti

giovanilisti e chi non compra dischi

e chi tira avanti seguendo freud

 

PENSA A QUALE INDIFFERENZA

Pensa a quale indifferenza scegli. Meglio

l’astensione dal giudizio o il precipizio

da imboccare. Scivolare nell’inerzia

e poi dormire, senza mai interloquire.

 

Se tu potessi ritornare indietro

Se tu potessi ritornare indietro

ti porterei dovunque

a rivedere tutta la città,

con le tue ossa stanche

e la memoria assente.

Ma sono qui con lei che ti somiglia

che curva le sua ossa

coi vuoti di memoria martellanti

come facevi tu

e che ti chiama spesso e si confonde

pensando che tu ci sia.

Potessi qualche volta essere te.

 

DIAZ

            Ho visto troppo nero,

mancanza di colore, conformismo

fra le divise uguali e chi s’infiltra,

e finge di gridare opposti fini.

            E ancora. Porte chiuse e impalcature

smontate per usarle come mazze

e bombe sistemate per la colpa

di chi dormiva dentro una palestra.

            Gridavo forte ed ero senza voce.

Piangevo. Niente succo lacrimale

scorreva giù dagli occhi: poca luce.

nell’evidenza della strategia

trovar nemici per poter distrarre,

sventrare, massacrare.

            Il rosso non segnava le bandiere,

ma volti calpestati da bisonti,

le bestie che s’esaltano col gruppo,

e i capi, i più eccitati, per l’odore,

del sangue, fuori, a fiotti,

marciavano scandendo bene il passo.

E Il tutto dentro al limbo del diritto.

            E un incubo non era. Tutto vero.

E tutto quanto nero.

 

GENOVA (il senso estremo del ripiegamento)

            E qui, dove tutto è cristallizzato

da quell’inettitudine interiore

che già ci segna i fianchi e l’andatura

e dove ciò che cambia è nocumento

quasi tormento, come tramontana

scura, convien fuggire

            E ritornare, vecchi,

le nostre rughe amare e, dentro i viaggi,

il senso estremo del ripiegamento.

 

Tetti

Su questi tetti bianchi di città

mi fermerò. Là, dove spiove e vendono

carezze sconosciute,

origlierò silenzi,

fra l’agonie d’amori appena nati,

per respirarne il senso.

 

Ci speri ancora? Il sole non tramonta?

Il sangue degli illusi

si sparge inutilmente

per mano delle vittime del mondo.

E si divide chi può stare insieme

a camminare dalla stessa parte:

chi mangia fango e ignora il nutrimento,

e poi riveste economie di scala

dall’Alpi al Fiume Giallo.

Ci speri ancora? Il sole non tramonta?

Adesso credo nella fede ambigua

che fa saltare via

secondo l’esigenze più opportune.

 

Sono colui che langue sulla tua lingua

            Sono colui che langue sulla tua lingua:

sguaino pensieri in serie, senza fermarmi.

Baciami adesso, baciami e non amarmi:

fa che impazzisca il cielo, e non si distingua

            ogni carezza singola e non si estingua

dentro al motore il rombo. Siamo alle armi:

spogliami dai rimorsi, devo allenarmi

finché il dolore non mi contraddistingua

            il tuo dolore lungo le tibie. E i sogni

mangiano la saliva di cui m’impregni:

portami al punto esatto in cui mi vergogni

            d’incastonarmi dentro i miei marchingegni,

liquefacendo il suono. Per cui tu agogni

di scardinare tutti quanti i congegni.

 

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