Senti sono quello che ogni mattina
Senti sono quello che ogni mattina
sale sopra il bus, alla fermata prima.
Sono proprio il tipo che si siede in fondo:
mentre tu accavalli le tue gambe in quanto
giochi fra le incognite e la seduzione
di chi mangia il giorno come colazione.
Vuoi un caffè ristretto oppure non gradisci
che ti dica che sei bella quando è buio.
Del giornale guardo solo le figure
e l’auricolare è l’antidepressivo.
Io non so nemmeno quale sia il destino
che ti sbatta sopra questo lento mezzo.
E non so il motivo che mi spinge a dirti
che se vuoi fuggire posso accompagnarti.
So che il tuo compagno è pressoché perfetto,
ma la perfezione fa mancare l’aria.
Vago per il mondo sempre spettinato:
provo a non contare il tempo quando passa
ma ti giuro che non posso farci niente.
La corrente non riesce a trasportarmi.
È come quando salgo per le scale
È come quando salgo per le scale,
per ripidi sentieri. Cerco pause.
Frantumo il mio respiro. Un’altra pausa.
E medito pensieri meditando
che non mi arrenderò. La terza pausa.
Il senso del possesso. E ancora pausa.
e il frigo da sbrinare. Voglio pause
per potermi un poco riassestare.
SONO ASTEMIO
Non bevo più né tequila né rum
Ho troppa sete e non ci dormo su
Non bevo più, non bevo più
In questa stanza quando è maggio viaggio
Sto peggio, però, il mio fegato è saggio
Quando bevevo ti vedevo bella,
bella che balla che sballa sta sulla
tolda della memoria assente. Sogno
dentro la mezzanotte
e indosso solo svarowski
e leggo trotzskij
odio i mocciosi e i finti
giovanilisti e chi non compra dischi
e chi tira avanti seguendo freud
PENSA A QUALE INDIFFERENZA
Pensa a quale indifferenza scegli. Meglio
l’astensione dal giudizio o il precipizio
da imboccare. Scivolare nell’inerzia
e poi dormire, senza mai interloquire.
Se tu potessi ritornare indietro
Se tu potessi ritornare indietro
ti porterei dovunque
a rivedere tutta la città,
con le tue ossa stanche
e la memoria assente.
Ma sono qui con lei che ti somiglia
che curva le sua ossa
coi vuoti di memoria martellanti
come facevi tu
e che ti chiama spesso e si confonde
pensando che tu ci sia.
Potessi qualche volta essere te.
DIAZ
Ho visto troppo nero,
mancanza di colore, conformismo
fra le divise uguali e chi s’infiltra,
e finge di gridare opposti fini.
E ancora. Porte chiuse e impalcature
smontate per usarle come mazze
e bombe sistemate per la colpa
di chi dormiva dentro una palestra.
Gridavo forte ed ero senza voce.
Piangevo. Niente succo lacrimale
scorreva giù dagli occhi: poca luce.
nell’evidenza della strategia
trovar nemici per poter distrarre,
sventrare, massacrare.
Il rosso non segnava le bandiere,
ma volti calpestati da bisonti,
le bestie che s’esaltano col gruppo,
e i capi, i più eccitati, per l’odore,
del sangue, fuori, a fiotti,
marciavano scandendo bene il passo.
E Il tutto dentro al limbo del diritto.
E un incubo non era. Tutto vero.
E tutto quanto nero.
GENOVA (il senso estremo del ripiegamento)
E qui, dove tutto è cristallizzato
da quell’inettitudine interiore
che già ci segna i fianchi e l’andatura
e dove ciò che cambia è nocumento
quasi tormento, come tramontana
scura, convien fuggire
E ritornare, vecchi,
le nostre rughe amare e, dentro i viaggi,
il senso estremo del ripiegamento.
Tetti
Su questi tetti bianchi di città
mi fermerò. Là, dove spiove e vendono
carezze sconosciute,
origlierò silenzi,
fra l’agonie d’amori appena nati,
per respirarne il senso.
Ci speri ancora? Il sole non tramonta?
Il sangue degli illusi
si sparge inutilmente
per mano delle vittime del mondo.
E si divide chi può stare insieme
a camminare dalla stessa parte:
chi mangia fango e ignora il nutrimento,
e poi riveste economie di scala
dall’Alpi al Fiume Giallo.
Ci speri ancora? Il sole non tramonta?
Adesso credo nella fede ambigua
che fa saltare via
secondo l’esigenze più opportune.
Sono colui che langue sulla tua lingua
Sono colui che langue sulla tua lingua:
sguaino pensieri in serie, senza fermarmi.
Baciami adesso, baciami e non amarmi:
fa che impazzisca il cielo, e non si distingua
ogni carezza singola e non si estingua
dentro al motore il rombo. Siamo alle armi:
spogliami dai rimorsi, devo allenarmi
finché il dolore non mi contraddistingua
il tuo dolore lungo le tibie. E i sogni
mangiano la saliva di cui m’impregni:
portami al punto esatto in cui mi vergogni
d’incastonarmi dentro i miei marchingegni,
liquefacendo il suono. Per cui tu agogni
di scardinare tutti quanti i congegni.
[…] Luca Valerio è sicuramente poeta variegato, prolifico e con una grande facilità nel versificare. […]