La Libreria – di Piero Antonio Zaniboni (Il babau n.13)

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Dopo anni di interminabile psicanalisi profonda, ciò che il mio Sigmund chiamava “setting” è rimasto sempre lo stesso: scrivania, poltrona, lettino, tenda a pallide tinte rosate, il sasso di cristallo illuminato e quest’enorme libreria, barriera muta ai miei occhi. Tutto sempre eguale, congelato nel tempo dei sogni, ogni giorno, quattro volte la settimana, mesi, anni… Io che parlo e Yul dietro alle mie spalle indifese, seduto, il suo respiro caldo e vicino, silenzioso e vigile, dispensatore ai più di qualche coriandolo distillato di verità. Fisso, posti di fronte a me, tutti questi libri, tentando disperatamente di indovinarne i titoli; inutile, sono troppo distanti, bisognerebbe possedere l’occhio dell’aquila.

La posizione di ciascuno, però, è immutata, di questo sono certo, ho controllato mentalmente negli anni; specialmente, fatto estremamente rassicurante, la libreria, di legno morbido, elegante, è ricolma come un uovo, neppure uno spazio vuoto che osi stonare: primo palchetto in alto i saggi della Boringhieri blu con trifoglio; opera omnia di Freud, Jung, Klein bianco latte; e poi, più giù, sparsa a scacchiera, la collana della Cortina con la classica chiocciolina; quella rossa di Martinelli; la gialla dell’Astrolabio; la bianca della Red; la rosa dell’Armando… Tutte opere che mi sembra di riconoscere anche solo dal colore della costa – non sono bibliotecario per niente! -. Ma ciò non è del tutto certo. Questo il problema.

Al momento nulla ha per me il sapore della certezza.

Comunque tutti questi libroni “devono” contenere la scienza di Yul, il mio maestro. Tant’è vero che quando ci salutiamo formalmente al termine della seduta mi per che, come in un gioco di prestigio, trasmigrino dagli scaffali e s’insinuino in lui come fascio di luce mentale. I libri sono lui e lui è sintesi loro.

Non so proprio cosa darei per potermi alzare dal lettino liberamente e, in barba a ogni sacra regola analitica, avvicinarmi alla libreria, afferrare con queste mie mani voraci tomi… uno, due, tutti… e leggerne bene autore, titolo, editore, prefazione, introduzione, pagina 1… 2… 3… La soluzione! Ma non si può. Nessuno lo dice; ma l’Io, il Super-io, l’Es o qualcos’altro, che si avvertono aleggiare lievi in questa stanza d’ovatta, non lo permettono. Forse più semplicemente Yul, lui decisamente mi bloccherebbe, invitandomi severo a rimettermi al mio posto. E io come un bambino ubbidirei, lo so.

Poi finalmente venne il momento!

Ormai non ci speravo più… una chimera come la fine dell’analisi… – Quando terminerà, dottore? – avevo osato chiedere alle volte. – Non si preoccupi, siamo solo agli inizi – faceva lui, imperturbabile e profondo.

A metà di quel setting lo sentii respirare sempre più intensamente. Io mi trovavo immerso nel sogno ricorrente dell’infanzia: come un uccello volevo volare, ma una fune tesa mi tratteneva cattiva al suolo… E poi, comunque fossi riuscito a spiccare il volo, mi sarei trovato nel vuoto più assoluto, solo, disperato, in preda a me stesso. E allora forse meglio era non staccarsi! Il Maestro asseriva trattarsi del cordone ombelicale, s’intende fantasmatico; a me pareva essere semplicemente una catena di ferro arrugginito e basta. E finché non me ne sarei liberato – diceva lui – non sarei “guarito”…

Dunque, lo sentivo in difficoltà.

Era la prima volta. Sapevo della proibizione del porre io le domande, ma il caso mi parve grave e trasgredii, facendomi forza: – Dottore… sta male?? – Non rispose. Rifeci la domanda, pensando che non mi avesse sentito. Dopo un attimo che mi parve interminabile disse solo: – Mi scusi, ma mi devo urgentemente recare in bagno! – Non chiarì il perché, ma supposi subito che, abituato al controllo totale come sono quelli della sua razza eletta, doveva aver ingerito una purga da cavallo, per non resistere a quegli ultimi quindici minuti di seduta.

Non so come, ma mi venne da sogghignare.

– Prego, faccia pure – dissi. Anche Yul è un uomo!, pensai la prima volta… la seconda fu quella di approfittare subito di quell’insperata assenza. L’occasione non si sarebbe certo riproposta facilmente: se ne sarebbe ben guardato un’altra volta di sbagliare dose di lassativo o quant’altro.

Con un balzo da ventenne (e ne avevo più del doppio!) mi gettai a capofitto verso la libreria per dar sfogo al mio istinto represso, stando ben guardingo, s’intende, a qualsiasi rumore di sciacquone provenisse dal bagno.

Afferrai il primo libro, lo apersi e… era vuoto! C’era solo il cartone che fungeva da copertina. Provai con un secondo… idem! Ne presi un terzo a caso, ancora vuoto!!! Sicuramente mi mancava il tempo per verificare che fosse così proprio per tutti, ma a rigor di logica, per lo meno statistica…

Insomma per anni avevo pensato, elaborato, elucubrato davanti a una libreria zeppa di libri vuoti. Io la maschera l’avevo tolta, lei – maledetta – no!

Sentii rumore e la porta che si stava riaprendo. Volai sul lettino e, facendo finta di nulla, continuai a cullarmi nel mio sogno, quello del volo negato, dell’infanzia. Alla fine pagai la seduta, mi precipitai fuori come un razzo, sentendomi leggero più che mai, nonostante i miei novanta chili, e non mi feci mai più vivo. La mia analisi, per il momento, finiva lì. Unilateralmente lì.

Ricordo solo che nel breve tragitto fra il portone di Yul e il parcheggio della mia auto notai un’aiuola fiorita di mille colori e dal profumo inequivocabile della primavera. E in effetti era maggio, e quell’aiuola doveva ben sempre esserci stata… Una patina indistinta d’uniforme grigiore li aveva seppelliti entrambi fin’allora.

Prima di rincasare, forse per una semplice associazione d’idee, mi fermai in una profumeria ad acquistare un’eau de toilette per la mia donna di sempre e quel gesto mi riempì di gioia.

***

Ora che di anni ne sono passati tanti, quel sogno dell’infanzia da tempo immemorabile è svanito. Da alcune notti, però, se ne ripete ossessivo un altro: vedo un uomo, il volto sfumato di nuvola, che si avvicina ad una libreria, ne sfila meticolosamente un libro, dopo aver bene controllato sulla costa il titolo e si siede in poltrona per gustarne ogni pagina. Temo possa trattarsi del vecchio Yul!

Mi sveglio di soprassalto, un sorriso beffardo stampato nel cervello; ma subito penso che anche questo sogno presto svanirà . In fondo – mi dico – chi è quello di noi due che ha rischiato di più?!

E mi addormento. Unilateralmente mi addormento, in pace.

Il volto rovinato di un lontano bambino che può finalmente volare. Le paure di allora sul comodino mio, la boccetta di profumo su quello della mia vecchia compagna di sempre.

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