La specie non protetta – di Andrea Guidi (Il babau n. 8)

Alture di Pegli, S. Carlo di Cese. Molta campagna, zone boschive e percorsi verdi per i passeggiatori domenicali. In primavera, soprattutto, tutti i sentieri sono frequentati nei giorni festivi.

Un pomeriggio domenicale di Maggio, Mario Lamberti aveva deciso di partire da S. Carlo, dove aveva lasciato l’automobile, per raggiungere a piedi il Santuario della Madonna della Guardia, sul monte Figogna. La moglie Giovanna e la figlia tredicenne Maria accoglievano sempre con entusiasmo queste iniziative. Seduto quotidianamente dietro a un terminale, nell’ufficio della ditta in cui era impiegato, Mario era ben contento che la sua voglia di muoversi, di stare all’aria aperta, fosse condivisa dai suoi familiari; tutti e tre affrontavano quindi con la stessa allegrezza le piccole escursioni domenicali.

Giovanna annuiva teneramente mentre Mario spiegava queste cose all’amico Marchetti che, radiolina in mano, li aveva voluti seguire.

Per me l’unico sollievo è il calcio – diceva Marchetti e poi rideva in convulsioni fragorose. Maria saltellava, Giovanna alzava lievemente la testa, accennava un sorriso e poi annuiva, sempre teneramente.

 

A poche centinaia di metri, lungo lo stesso percorso, Federica Rossi, capufficio di Mario, in compagnia del silenzioso Sergio Gavotti, ripensava alle ultime settimane di lavoro contraddistinte da tensioni esasperanti avute con Mario.

Perché non ci fermiamo un po’? – propose Gavotti. – E’ bello da qui osservare il paesaggio.

Ma sì, sediamoci un po’… Quanto mancherà?

 

Genova è una città ben strana. Se la guardi dall’alto o comunque da lontano, sembra bellissima. Ti sembra quasi il paradiso…

Io vorrei vivere a Parigi – esclamò Maria.

Sarà come dici tu, caro Mario – disse Marchetti – ma a me Genova sembra proprio un buco, anche da qui.

Mario, mentre Marchetti rideva in quella sua maniera scomposta e singhiozzante, rivolse alla moglie uno sguardo come per dire “lui non può arrivare a capire” e Giovanna annuì, stavolta con un sorriso a labbra saldate e allineate in un’estensione prodigiosa.

Mario pensava alla varietà architettonica di Genova e alle pareti rosa e gialle dei palazzi. E che se si va un po’ su si vede questa striscia meravigliosa, pulsante, e poi il mare, grande, immenso…

 

Federica guardava fissa davanti a sé, facendosi passare fili d’erba tra le dita. Cercava di capire i motivi di quelle difficoltà con Mario. Le sfuggiva anche il perché fosse così carica di quel peso emotivo e cosa stesse dietro il turbamento che Mario le procurava. Si conoscevano da pochi mesi. Lei non si sentiva affatto attratta da lui. “Ormai so bene quando sono innamorata”. C’era qualcos’altro. Irritazione, questo senza dubbio. Federica si era stupita del suo stesso comportamento. “Mentre lavora fa troppi errori. Lei deve stare più attento”, queste le prime parole che gli aveva detto. Da quel momento in poi ogni azione, ogni parola di Mario erano entrate nella sfera di tutto ciò che Federica chiamava errore, intendendo con ciò ogni gesto inopportuno e insieme indisponente.

In ufficio era diventata così nervosa che un giorno, invitando tutti gli impiegati ad una maggiore velocità nello sbrigare le pratiche, le era sfuggita, improvvisa e sorprendente per lei stessa, un’allusione esplicita ed offensiva nei confronti di Mario. “Qualcuno influisce negativamente sul rendimento generale”, aveva detto, fissandolo con un chiarissimo sguardo, più accusatore di un indice sotto il mento. Mario non reagiva, anche se il suo volto tradiva lo stato d’animo di chi è offeso e comunque colpito e nello stesso tempo paralizzato da un’attrazione. Anche Mario, che di solito era ben cosciente di ciò che provava e lo sapeva esternare, se lo voleva, rimaneva sorpreso dal suo stesso comportamento passivo. Gli sguardi violenti di Federica andavano direttamente e senza coscienza a cercare i disagi altrettanto privi di coscienza negli occhi di Mario e questi incontri tensivi rimanevano insoluti; Federica ne usciva a scatti d’ira, Mario si trovava tra sospensioni e pose oblique, storcimenti delle labbra, sorrisi nervosi, mani agitate. L’ultimo venerdì, durante una piccola pausa in ufficio, Mario, richiamato improvvisamente da Federica e colto di sorpresa, le aveva versato involontariamente il caffè sul vestito. Lei aveva trattenuto il respiro, poi anche la voce; si era diretta verso il bagno con una brusca giravolta, lasciando Mario nel silenzio impietoso dei colleghi.

Quello stesso silenzio Mario sentiva ora, camminando, risuonare e confondersi nel silenzio verde delle piccole vallate che gli si aprivano davanti.

 

Mario, la moglie, la figlia e Marchetti arrivarono vicino al muretto che costeggiava un’ampia vallata, dove Federica e Gavotti avevano deciso di sostare. Erano ancora lì; Gavotti, in piedi, stava fumando, assorto e quasi immobile, Federica era seduta sotto in ciliegio, più in basso rispetto all’inizio del muretto, fuori dal ciglio, le gambe larghe e rilassate sull’erba. Si ricompose appena vide il gruppetto di persone che sopraggiungeva e si alzò addirittura non appena riconobbe Mario.

Dovrò venire più spesso con voi a passare domeniche così – disse Marchetti. Giovanna sorrise emettendo uno stridulo “ma certo perché no?”, mentre Mario aveva appena notato Federica.

– Perché ti sei fermato, papà?

– Mm… Niente, perché… devo avere un sassolino nella scarpa.

Federica volse lo sguardo a sinistra, verso il basso, dove un sentierino stretto a scalini conduceva in uno spiazzo d’erba, verso il fondovalle.

– Andate pure, continuate, vi raggiungo non appena… – Mario si chinò e si sedette a terra – … mi sarò tolto questo… fastidioso sass……olino.

Lo sa, signora, – incalzò Marchetti facendo un cenno di risposta a Mario – che sua figlia è un angelo? Si comporta come è difficile trovare oggi nei ragazzini…

Maria iniziò a correre su per la salita mentre la mamma lentamente scandiva “Eh, ma sa, ormai è grande e…

Federica imboccò decisa il sentierino: – Senti, Sergio, vado a fare un giretto. Aspettami qua.

Gavotti rimase imperturbabile e non interloquì: annuì con uno scatto del mento così repentino che Federica ebbe un sussulto.

Giovanna in quel momento stava ridacchiando per una storiella che Marchetti aveva presentato come “un po’ piccante” e della quale ripeteva e sottolineava enfaticamente i passi e le battute per lui più divertenti.

Mario, senza badare a Gavotti, fece lo stesso percorso di Federica e la raggiunse in un punto dello spiazzo dove alcuni faggi allineati li nascondevano alla strada.

 

Si trovarono l’uno di fronte all’altra, fissandosi entrambi con gli occhi lucidi, le mani e le spalle frementi. Federica afferrò Mario per i capelli, tirandogli giù la testa e sputandogli in faccia. Mario reagì con un pugno che colpì Federica ad un orlo della bocca e la fece cadere a terra. La donna si rialzò subito sputando il sangue che perdeva dal labbro sulla camicia di Mario e quindi gli rifilò una ginocchiata che gli colpì i genitali. Mario allora si aggrappò col braccio destro al collo di lei e la trascinò a terra mentre con la sinistra si teneva i testicoli, senza più fiato. Mentre rotolavano avvinghiati, Federica lo graffiò dappertutto con le unghie e servendosi degli anelli che portava. Mario riuscì a darle un pugno nello stomaco e poté divincolarsi. Federica, senza fiato, non ebbe il tempo di reagire e Mario l’afferrò per la camicia, strappandogliela, con la destra e con la sinistra le diede una sberla fortissima sotto l’orecchio. Federica si buttò a terra stremata ma dopo pochissimo trovò la forza di sfilarsi uno stivaletto e con il tacco cercò di colpire Mario, il quale schivò due o tre affondi. Federica allora, ansimando, gli saltò addosso e lo morse al collo facendolo cadere, poi con un gomito gli percosse ripetutamente una tempia e l’orecchio sinistro. Con un colpo di reni Mario riuscì a girare il corpo di lei, a montarle sopra e a darle una testata. Federica, senza arrendersi, gli cinturò il collo con il braccio destro e strinse forte tenendo contemporaneamente il pollice sinistro premuto sul pomo d’Adamo di Mario, il quale, però, dopo un attimo, con uno scatto si slacciò da lei. Si accorse allora che il volto di Federica era completamente cosparso di sangue; aveva un taglio su un sopracciglio. Lei disse “Non… ci… vedo più”, faticando a respirare.

Vieni! – ordinò Mario a Federica prendendole il braccio. La trascinò lungo un sentiero strettissimo in discesa e la condusse nel punto più basso della valle, dove sapeva trovarsi un ruscello.

Federica non oppose resistenza; barcollava e non si lamentava. Mario la fece adagiare a terra e le immerse completamente la faccia nell’acqua fresca; poi la tirò su e con un fazzoletto riuscì a tamponare l’emorragia.

 

Si guardavano, adesso, rilassati anche se sudati, stremati, con i vestiti laceri, stropicciati e macchiati di erba e di sangue. Si aiutarono a ricomporsi, per quanto fosse possibile. Lui diede a lei la sua camicia perché quella di Federica era tutta bagnata e a brandelli. Lei si trovò un piccolo pettine in tasca, pettinò anche Mario e gli pulì il volto bagnandolo e toccandolo con profonde pressioni di pollice.

Si incamminarono subito, senza parlare. Avevano scorto un altro sentiero per risalire, più comodo di quello percorso per scendere. Era una stradina a tornanti; da ovest spuntavano a tratti frammenti di mare. Ogni tanto alla loro vista appariva la figura di Gavotti, che spiccava sul ciglio, incollata nell’azzurro intensissimo. I bagliori del sole, ormai non più visibile dall’incavo della vallata, guizzavano nitidi e fiammanti ma senza abbagliare, come lance scagliate alle spalle.

 

– Mamma, ma quanto ci mette papà ad arrivare?

– Ma… non credo certo che abbia sbagliato strada… non capisco.

Erano arrivati in cima a una collina e, sempre rimanendo nella strada asfaltata, si erano seduti ad aspettare.

– Be’, vado io a vedere. Voi restate qui.

– Ma no, signor Marchetti, forse è meglio che gli andiamo incontro tutti. Tra l’altro ci conviene tornare, abbiamo fatto troppo tardi; per arrivare alla Guardia bisogna camminare più spediti.

Nello stesso momento anche Gavotti si mosse. Pensando che Federica avesse risalito la collina da un altro punto (guardando nella valle non l’aveva trovata), si diresse verso l’alto per raggiungerla.

 

Mario e Federica avevano raggiunto la strada. Federica era spossata e un po’ dolorante ma soprattutto aveva fame e lo disse a Mario. Lui aveva il collo infiammato e sentiva freddo perché aveva camminato all’ombra sudato e senza camicia ma anche per lui mangiare qualcosa era più importante, come rispose ridendo a Federica.

Erano in un punto dal quale videro giungere, da una parte i familiari di Mario, dall’altra Gavotti. Si guardarono, le facce stupite e spaventate. Avevano colto la minaccia incombente. Si sentivano disarmati, braccati, accerchiati. Provarono una voglia rabbiosa di correre, ma lo smarrimento era più forte.

Attesero, così, con le gambe deboli e immobilizzate.

 

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