Scrivere di Pasolini è come camminare su un filo teso tra due grattacieli, mantenendo un difficile equilibrio tra il vento dell’agiografia e quello della calunnia. Il personaggio è così noto e controverso che il pubblico parte inevitabilmente da un idea preconcetta. Io stesso mi son chiesto se avrei dovuto spogliarmi di ogni mia conoscenza, far tabula rasa, per affrontare nel modo corretto Paesaggi Perduti, elaborazione drammaturgica di testi pasoliniani, eseguita da Marco Romei per il Teatro delle Nuvole.
Non è stato necessario.
E’ bastato che Franca Fioravanti, regista ed interprete, ci porgesse i versi “Io sono una forza del passato. Solo nella tradizione è il mio amore…” per trovarsi lì ma anche altrove, allo stesso modo in cui, bambini, si veniva rapiti in un mondo altro dalle parole “C’era una volta…”
E così, intrappolati nella narrazione come dallo sguardo del vecchio marinaio, abbiamo dovuto, voluto, lasciare tutto quel che sapevamo ed abbandonarci al fluire dell’evocazione.
La scena è spoglia, un leggio, una sedia, sullo sfondo luci ed immagini di Liliana Iadeluca* e le musiche ondivaghe di Bernardo Russo, eppure c’è tutto, perché, lo si nota dal silenzio, ci siamo noi.
Il testo parte dunque dalla poesia recitata da Orson Welles nella Ricotta, fornendo un luogo ed un tempo al nostro provenire, rivendicandone la dignità di grandi e piccole storie, di volti, madri, affetti, rinunce, ma anche lotte sociali. E’ la storia di un paese, di persone, di una cultura, contadina ma anche altissima, che attraversa una fase di transizione violenta, esposta alle proprie lacerazioni mai sanate, ad una guerra ancora più aspra perché interna, al mito straniero che si impone, identificata nel sorriso tra le lacrime di Marilyn. Marilyn è in qualche modo punto cardine della narrazione, perché ultimo mito, perché contemporaneamente bellezza spontanea ed incanalata, libertà ed omologazione. La morte di Marilyn, prima della morte anagrafica, è rappresentativa del successo della manipolazione di ogni cultura, di quel mostro dalla mille teste e nessun cervello che portava, e porta, il nome di civiltà dei consumi. A questo mostro si possono opporre solo le bandiere del nostro esser terra, popolo, storia… E la narrazione va oltre, anche oltre Pasolini – ma non dirò – rivelando scenari apocalittici, liberando urla, ponendo domande alle quali forse non è necessario dare una risposta, perché la verità non bisogna nominarla. Che appena la nomini, non c’è più.
Marco Romei, una volta di più, ha reso teatro un insieme di pensieri provenienti da più fonti: poesie, interviste, scene cinematografiche e teatrali, articoli giornalistici. Paesaggi Perduti è la narrazione sapientemente tessuta di quel che siamo stati, ma anche, e soprattutto, della “bellezza morale” pasoliniana, una bellezza che Franca Fioravanti ha cantato, cullato, urlato e qualsiasi altra cosa sia possibile fare con la voce, finché l’abbiamo sentita anche nostra.
Non c’è più spazio nell’oggi per questi paesaggi?
Sono realmente perduti?
Dagli applausi del pubblico, ma soprattutto dai mormorii affascinati di molti studenti direi si tratti di Paesaggi Ritrovati.
Mi auguro passino anche dalla vostra città.
* con Enrico Goretti
La foto del post è di Alessandra Vinotto.